C'era una volta l'America di Scibona


Il bel libro di Scibona ci racconta un'America particolare, l'America degli immigrati italiani e, per grande fortuna, ci risparmia tutti gli stereotipi, prima di tutto l'equivalenza fra  immigrato italiano e mafia. Non c'è un vero protagonista, non esiste un racconto che segua dall'inizio alla fine la vita di un personaggio, è invece un romanzo corale, dove seguiamo la vita di alcuni italo-americani, arrivati in tempi diversi, alcuni anche di seconda generazione.
Ci sono uomini, partiti giovani o bambini dall'Italia, che una volta adulti e diventati padri cercano di ricreare le stesse dinamiche padre-figlio che hanno caratterizzato le loro esistenze, come una forma di identità. E ovviamente falliscono in questo tentativo. Mi è caro Enzo che a suo figlio promette le botte per quello che combina e poi, arrivato a casa, si scopre troppo stanco per punirlo. Ci sono donne forti o costrette dalle circostanze a diventare forti e dure, che in America hanno anche imparato a dir no al loro marito. C'è un'intera comunità di italo-americani che vedono minacciata la loro identità sia dalle nuove generazioni che sono nate americane sia da altri immigrati o dai neri. E c'è questo grande paese, l'America, non come lo conosciamo adesso o dai film, ma come doveva apparire a questi ultimi fra gli uomini, arrivati dalla miseria e dalla pazzia europea, a cercare una nuova vita, a costruirla giorno per giorno, come il primo personaggio, il panettiere, che per trenta anni aveva lavorato senza mai fermarsi nemmeno un giorno. Un gran bel libro, veramente.

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