Sono rimasto incantato dall'ultimo libro di Valeria Parrella, Lettera di dimissioni, soprattutto dalla prima parte.
La voce narrante, Clelia, ci racconta la storia della sua vita partendo da lontano: inizia dai suoi nonni, da prima della prima guerra mondiale e ci presenta tutta la sua famiglia, generazione dopo generazione, da parte di padre e di madre. Una storia ambientata a Napoli, come una storia d'Italia vista dal Sud.
Clelia è il personaggio principale ma di lei conosciamo il nome solo a metà del romanzo: nella prima parte lei racconta della sua famiglia e lo fa con una delicatezza e con una empatia eccezionali. Tramite i suoi ricordi diretti o quelli che le sono stati riportati, tramite le poche foto che ha, veniamo a conoscenza di tutta la sua famiglia, dai nonni in poi. La sua è una descrizione che ci dice: "Io sono qui e sono così grazie a loro". Nelle sue parole c'è accetazione, non c'è rimprovero, non ci sono recriminazioni, anche se la vita dei suoi non è stata facile e lei, pur di famiglia borghese, non viveva in una famiglia perfetta.
" Ma erano sopravvissuti entrambi alle proprie vite e a me sembrava che o raccontavano tutte bugie oppure tutto quello che avevano fatto del tempo che gli restava, gli andava perdonato d'ufficio"
C'è un rapporto speciale con il padre, fatto di ammirazione per quello che il padre è, in famiglia ma soprattutto in società . E' un padre che non ha successo nè economico nè sociale, pur essendo laureato con un posto al Comune; ha però la voglia e la forza di capire cosa è giusto e sa lottare di conseguenza, naturalmente. E' un padre che con la sua vita mostra, consapevolmente, una via: "Quella di nostro padre non era nè abnegazione nè una lotta contro i titani, semplicemente stava meglio a fare così": la banalità del bene.
Una delle scene più belle è quella dove Clelia racconta di suo padre che porta il figlio, fratello di Clelia, in ospedale e lì si imbatte nella sostituzione della U di USL nella A di ASL sulla facciata dell'ospedale e questo lo fa tornare indietro. "Fu così che mio padre scese e chiese spiegazioni al capannello in zoccoli verdi che approfittava del diversivo per farsi una sigaretta. [...] il direttore dell'ospedale gli spiegò che da unità diventavano azienda [...]. Il fatto è che ai miei, quei nuovi giri di parole che mettevano merce tra la gente una lettera alla volta, li lasciavano sgomenti." Ed è lo stesso padre che piange immobile per sette ore vicino al muro crollato agli scavi di Pompei: è un padre in lutto che, di fronte a questo ennesimo scempio, ormai non ha più energia per la lotta, non ha più forze per cercare il cambiamento, ha solo le lacrime per piangere.
La seconda parte del libro è invece il racconto in prima persona della vita di Clelia, che molto presto lascia la famiglia per andare a vivere con il suo primo amore. In questa seconda parte cambia il soggetto della narrazione (non c'è più la famiglia, c'è Clelia con i suoi pensieri e le sue azioni) e cambia lo stile della narrazione: è più asciutta, più veloce, più dolorosa anche.
Siamo portati a seguire i successi di carriera e artistici di Clelia nel mondo del teatro, dalla sua prima regia fino alla direzione del teatro San Carlo a Napoli: è un susseguirsi rapido di avvenimenti, così rapido che Clelia non ha tempo per crearsi una famiglia. Ma non è la carriera a consumare le energie di Clelia, è l'impossibilità di lavorare bene, senza compromessi, come aveva appreso dalla famiglia; anche lei si fermerà .