Libri da ombrellone

Confesso di avere qualche problema quando un cliente mi domanda un libro da ombrellone, un libro da portarsi in spiaggia.
Sembra scontato che si debba mandare in vacanza anche il cervello e quindi le letture debbano essere di totale svago fino al limite dello svaccato. Sarà forse che in libreria certi libri proprio non li tengo, sarà per questo che la richiesta di libri da spiaggia mi mette in crisi. Cerco allora di sondare i gusti del cliente e capire se è un irrecuperabile, da mandare prontamente verso un'altra libreria, o se invece riesco a convincerlo che una lettura può essere buona indipendentemente dalle condizioni ambientali, dalla temperatura, dal grado di umidità e dai granelli di sabbia fra le pagine.
Non mi sembra il caso di fare l'elenco dei libri consigliati per l'estate, elenchi del genere li si trova in ogni dove; preferisco raccontare le mie letture da spiaggia.
Io mi ero organizzato con due libri che dovevo leggere da tempo, Underworld di DeLillo e La trilogia della città di K. di Agota Kristof: due letture che mi hanno accompagnato egregiamente durante la vacanza. Crea un po' di spaesamento leggere del Bronx degli anni '50 o della seconda guerra mondiale e, alzando gli occhi dalle pagine, ritrovarsi in riva al mare in mezzo ad altri bagnanti. Di sicuro, dopo aver espletato le dure mansioni del vacanziere come nuotare o giocare con i figli, ritornare alla lettura era tornare a casa, era scoprire in che epoca e in che posto ti avrebbe portato DeLillo nel prossimo capitolo, come ti avrebbe stupito con il suo stile, di che personaggio secondario si sarebbe occupato; era restare attoniti di fronte allo stile della prima parte della trilogia, leggere i primi due-tre capitoli e poi rileggerli perchè non hai capito bene cosa ma soprattutto come sta raccontando e poi scoprire come riesce Kristof a continuare la storia con le altre due parti, pur così diverse dalla prima.
Sfortunatamente, i libri sono stati più brevi delle vacanze, mancavano ancora diversi giorni per tornare a casa e mi sono dovuto arrangiare. Nella casa presa in affitto ho trovato La tregua di Primo Levi, che forse avevo letto da adolescente o forse no, di sicuro lo avevo ascoltato da poco su Rai3 nel programma Ad Alta Voce, alcuni brani mi avevano colpito: un'ottima occasione per leggerlo e trovare la conferma di un grande libro.
Ma, ahimè, le vacanze erano lunghe: finito anche questo cosa potevo fare? Mi ero portato il Kindle ma non avevo proprio voglia di accenderlo per leggere qualcosa. 
Una bella cosa da fare in vacanza, soprattutto in un paese straniero, è cercare una biblioteca. Ne ho trovata una in una città vicina, con una sezione di libri in italiano, e lì ho trovato Le correzioni di Franzen.
Ho letto solo le prime cento pagine, poi ho dovuto restituirlo e tornare, prima o poi me lo compro e lo finisco per confermare una mia sensazione: che non sia questo gran libro. Forse sono condizionato dall'aver letto da poco Underworld che parla di argomenti simili, della società americana, di come il consumismo la abbia ridotta, ma il contenuto e soprattutto il modo di raccontare è tutto a favore di DeLillo. A partire dal primo capitolo, anzi dal prologo che accomuna i due libri.
In Underworld il prologo è la partita di baseball del 1951 (se non ricordo male) fra due squadre di New York, una partita fondamentale per la storia del baseball e per estensione per la storia americana ma fondamentale anche per la storia del romanzo visto che, in un modo o nell'altro, tutti i protagonisti sono legati a quella partita e le sorti della palla del fuoricampo vincente si dipanano lungo tutto l'arco della storia. In questo prologo, DeLillo ci dà un esempio di cosa un bravo o bravissimo scrittore sa fare: riesce a prendere una tecnica propria di un'altra arte e a tradurla nell'arte della scrittura. Il riferimento che si fa a questa scena è al film, alla tecnica cinematografica che racconta una scena vasta  tramite brevi inquadrature in primo piano di protagonisti e non, passando da uno, all'altro e all'altro ancora e poi ritornando sul primo. 
Ma si può pensare anche alla pittura, al quadro che dà il nome al prologo, Il trionfo della morte di Bruegel: si può ammirare il quadro nel suo insieme o lasciare andare lo sguardo sulle microstorie che l'artista ha dipinto.
In Le correzioni, il prologo serve per introdurre la coppia di anziani genitori che poi, immagino, ritroveremo lungo l'arco di tutto il libro, ma con uno stile volutamente più complicato rispetto al primo capitolo. Complicato è la parola che più mi sembra adatta: sembra che, come Chip, uno dei figli di questa coppia, inizia la sua sceneggiatura con sei pagine inascolatbili perchè è moderno avere un inizio che richieda un certo sforzo da parte dello spettatore, così Franzen rende complicato il suo prologo per rendere moderno il libro.
Per il resto, su quelle prime cento pagine che ho letto ho due osservazioni: Franzen non lascia nulla al lettore, non ci lascia nulla da immaginare, è tutto scritto, tutto rappresentato. In modo mirabile, vorrei saper scrivere come lui, ma non c'è lo spazio, per il lettore, di incunearsi fra scrittore e personaggio e creare la propria visione di quello che si sta leggendo.
La seconda osservazione, in qualche modo legata alla prima, è la mancanza di empatia da parte di Franzen nel confronti dei personaggi che non è smorzata dal tentativo di rendere comiche o divertenti alcune situazioni in cui questi personaggi vengono cacciati dallo scrittore.
Questo invece non c'è assolutamente in Underworld: sono più di ottocento pagine e, quando arrivi alla fine, c'è ancora spazio per sapere qualcosa di nuovo sul protagonista, che conosci già da pagina 30 ma scopri un po' alla volta, come un po' alla volta si diventa, ognuno, quelli che siamo.
E a proposito di umorismo: in Underwold c'è, nel prologo, il racconto di una barzelletta, quella su Speedy Gonzales, che potrebbe starci come no, non mancherebbe nulla al prologo per la sua efficacia. Il fatto è che la ritrovi 700 pagine dopo, in un altro contesto, in un'altra lingua, non raccontata ma in qualche modo citata e allora ridi e capisci che quella barzelletta doveva essere lì dove l'autore l'ha messa.

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