MAPPE E LEGGENDE. Avventure ai confini della lettura di Michael Chabon

Confine, una parola e uno stato importantissimi in tutto il libro in cui Chabon ci racconta e analizza le sue letture. Racconto, romanzo, fumetto, intrattenimento, generi, miti, estate, golem sono altre parole importanti di queste cosiderazioni coinvolgenti di un superlettore.

Salto da una lettura all'altra e comincio dalle prime riflessioni, quelle sul racconto breve e sul genere:

Malgrado il continuo disdegno e l'abbandono cui è soggetta la maggior parte dei generi «non letterari», soprattutto da parte dei nostri migliori scrittori di racconti brevi, molti se non quasi tutti i più interessanti scrittori degli ultimi settantacinque anni si sono ritrovati [...] inesorabilmente attratti dalle terre di confine. Da Borges a Calvino, che attingono a piene mani dai temi e dalle convenzioni della fantascienza e del mistero, ad Anita Brookner e John Fowles con i loro sofferti romanzi d'amore, da Steven Millhauser a Thomas Pynchon a Kurt Vonnegut, John Crowley, Robert Aickman, A. S. Byatt e Cormac McCarthy, gli scrittori hanno svolto il loro mestiere negli spazi fra i generi, nella terra di nessuno. [...] È significativo che quasi tutti gli scrittori sopracitati [...] siano soprattutto romanzieri. [...] Esistono le ragioni più varie, alcune delle quali hanno a che fare con il diffuso declino commerciale del racconto breve e con il ruolo schiacciante [...] delle decisioni aziendali nell'evoluzione della forma letteraria. Ma un numero crescente dei nostri più interessanti scrittori di racconti brevi moderni - Kelly Link, Elisabeth Hand, Aimee Bender, Jonathan Lethem, Benjamin Rosenbaum - lavora sul filo. 

Poi passo a quella sulle presunte ragioni della sconfitta del fumetto, il parallelo con altri generi è immediato:

Molti addetti del settore vi diranno che oggi c'è semplicemente troppa competizione per i soldi dei ragazzi e che dallo scontro con videogame, film zeppi di effetti speciali, internet, iPod, eccetera, i fumetti escono inevitabilmente sconfitti. Trovo questa argomentazione poco convincente, per non dire di comodo. Inoltre è un esempio della curiosa ingenuità della nostra generazione, di quanto noi e i nostri figli siamo diventati sofisticati rispetto ai nostri genitori e ai nostri nonni, del fallece senso di superiorità a posteriori che tendiamo a ostentare verso di loro e verso il loro mondo svanito. Come se nel 1960 non ci fosse stato un mucchio di roba fantastica oltre ai fumetti, con la quale un bambino potesse trascorrere il proprio tempo considerevolmente meno limitato e spendere i propri risparmi considerevolmente più scarsi. Nei primi anni dei fumetti, anzi, al contrario di oggi, un bambino moderatamente avventuroso poteva trovare ogni genere di cose da fare, non solo divertenti (in parte perché si svolgevano senza la sorveglianza o la mediazione di un adulto), ma anche assolutamente gratuite. Non esiste un prezzo del divertimento più competitivo di questo.

Poi arriva l'estate del 1985, Chabon ha allora ventidue anni, Ventidue anni, avevo. Ventidue!, Il grande Gatsby di Fitzgerald e Goodbye, Columbus di Philip Roth, il suo primo romanzo I misteri di Pittsburgh:

Io volevo raccontare storie, di quelle con le scene madri e i lunghi brani descrittivi, e i personaggi «a tutto tondo», e un inizio, una parte centrale e una fine. E volevo instillarvi - o meglio non volevo perdere - quella qualità, proprio della migliore fantascienza, che a volte veniva chiamata «il senso della meraviglia». Se il mio tema non era adeguato - se non scrivevo di gente che attraversava stelle di neutroni o imbrigliava l'energia di molti soli - allora spettava soltanto alle mie frasi il compito di aprire le teste dei miei lettori e travasarvi abbastanza plasma sfogliante da illuminare i loro bulbi oculari per una settimana. Ma non volevo scrivere fantascienza, e nemmeno una sua versione, una sorta di figliastra piena di tatuaggi, piercing, ironia e titolo di dottorato. Volevo scrivere qualcosa che avesse una portata. La Welty e Faulkner avevano cominciato e finito in piccole città del Mississippi, ma in qualche modo erano riusciti a piantare bandiere alla fine del tempo e nelle menti dei lettori di tutto il mondo.

[...] due considerazioni cruciali scaturirono dalla mia lettura di Goodbye, Columbus subito dopo il Grande Gatsby. Una era che il libro di Roth era molto più divertente di quello di Fitzgerald, che divertente non lo è quasi per nulla, soprattutto quando, come nel famoso catalogo degli invitati alle feste, ce la mette tutta per divertire. La seconda osservazione, sul parallelismo più impressionante fra i due libri, mi eccitò così tanto, quando la notai, che divorai tutto il brano in cui la signora Patimkin trova il diaframma così da potermi rialzare e riprendere i miei andirivieni da orso in gabbia: entrambi i libri, notai, coincidevano precisamente con un'estate.
Questo era un parallelismo che mi toccava nel profondo.

Lo scrittore per Chabon è il briccone di Hyde, un ghostbuster, il mercante navigatore e l'agricoltore sedentario di Benjamin, un tessitore di tappeti volanti, un plasmatore di golem, rischi enormi compresi - il termine «golem» viene da un'antica parola ebraica che significa «materia grezza» - al quale, con una procedura mistica, si dà vita, o qualcosa che le assomiglia.
E il lettore, a volte, è un po' boccalone.

È lungo questa terra di confine sottile come il filo di un coltello, fra quei due regni, l'Impero delle Bugie e la Repubblica della Verità - più che in ogni altra frontiera sulla mappa dell'esistenza - che il briccone compie il suo tortuoso itinerario, per finire miseramente o per trovare la sua cena, il suo tesoro, il suo destino.





 

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