PROMETTIMI DI NON MORIRE di Maria Pace Ottieri e Carol Gaiser

“Carissima Silvana,
oggi sono tornata al mio appartamento in città per prendere la posta e la moglie del concierge mi ha dato il paquetto tuo.
Che grande sorpresa di trovare non solamente una borsa bellissima (classica e dignitosa) ma anche tutti i regali a dentro. La sciarpa di colore aqua perfetto per l’estate, la carina handkerchief dei puntini e quanto mi ha fatto sorridere l’equipe ANTIAGE (certo l’ho bisogno) ma la cosa più curiosa per me è la “polvere indian”. Figurati ho scritto una scena nel romanzo cinque anni fa, dove la protagonista (giovane americana) guarda mentre l’eroina (una grande signora italiana, bella e sofisticata naturalmente) si mette il trucco per una festa di cena, dinner party. La signora ha questo nuovo polvere abbronzato per gli occhi, si prova ed a lei non piace.
Lo da alla ragazza americana. Non ti sembra una coincidenza straordinaria?

In queste righe è racchiuso tutto il cuore dell'amicizia tra Silvana e Carol.
Alla morte della madre Silvana Mauri, Maria Pace Ottieri, trova, tra le sue cose da sistemare, diverse lettere a nome Carol. Quella Carol è la poetessa e giornalista americana Carol Gaiser, giovane studentessa Fullbright a Roma nei Sixties; conoscerà la madre, sofisticata signora quarantenne, che ammirerà moltissimo e con la quale instaurerà un'amicizia lunga quarant'anni, fatta di lettere, collect calls, tanti regali, alcuni incontri memorabili e una promessa. (Nelle lettere di Carol si trovano con frequenza delle parole sottolineate. Perché?)

“Carol, quell’anno, il 1960, era l’invidia di tutti gli studenti Fullbright di Roma. Ma essere invidiata la metteva talmente a disagio che prese a evitarli del tutto. L’ultima volta che li aveva visti risaliva al mese di novembre, quando si erano incontrati all’Ambasciata Americana per ascoltare i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali e tifare per il loro candidato, Jack Kennedy. Era sempre stata nel posto sbagliato nell’età sbagliata, ma questa volta, studentessa di Cinema a Roma nell’anno in cui veniva eletto il primo presidente giovane e affascinante del suo paese, si era sentita nel posto giusto al momento giusto.
Mentre gli altri Fullbright passavano il tempo di fronte all’American Bar vicino a via Veneto, lamentandosi dei termosifoni troppo bassi nelle case in affitto o della scarsità di cubetti di ghiaccio nei loro drink, lei ebbe la straordinaria fortuna di essere notata da Alberto Moravia.
Quando Moravia la baciò per la prima volta, Carol gli disse: “Non mi piace il tuo stile”. “Vuoi dire lo stile dei miei baci o dei miei libri’” “Entrambi”. Ma questo fu più tardi.”

Tra Roma e New York, Moravia e Ginsberg, poesia e articoli per Glamour e The New York Times, il libro è una collezione di episodi della vita intellettuale del periodo, e della vita privata degli intellettuali, in Italia e America.

“Carol arrivò a casa sua con dieci minuti di ritardo. Lo scrittore [Moravia] era infuriato. Quando si calmò la presentò a Pier Paolo Pasolini, “il suo migliore amico”, e a una giovane signora, Silvana Ottieri. […] Sui quarant’anni, Silvana era minuta, un viso da gatta con corti capelli scuri, a Carol ricordava la giovane Colette. Aveva una roca risata cospiratoria che alludeva a un mondo segreto e un sorriso fuggevole e dolcissimo. […]
Silvana invitò Carol a Lerici, quell’estate, attirandola con l’immagine di un’isola di fronte alle finestre della sua casa, simile a quella dell’Avventura di Antonioni che Carol le disse di aver visto due volte in una settimana.
“A proposito di isole”, aggiunse la nuova amica italiana, “hai mai letto L’isola di Arturo di Elsa Morante?”
“No, non lo conosco”.
”Devi leggerelo, molti pensano che Elsa Morante [ex moglie di Moravia] sia una scrittrice più grande dello stesso Moravia.”

“Un giorno, passando per Piazza di Spagna di fronte a un’edicola, Carol lesse un titolo a caratteri cubitali su un giornale: “È MORTO HEMINGWAY, SI È SPARATO ACCIDENTALMENTE PULENDO IL SUO FUCILE”. Era il 2 luglio 1961.
“Le quattro stanze, mal illuminate e dai muri affumicati, appartenevano ad Allen Ginsberg che le divideva con Gregory Corso, il più silenzioso Peter Orlovsky e un occasionale gatto. Senza un telefono, però. Chiunque volesse mettersi in contatto con loro doveva ricorrere a Western Union, e in cucina, di gran lunga la stanza più viva della casa, erano sparsi ovunque mucchi di telegrammi. C’era un narciso in fiore sul frigorifero, stampe di Michelangelo e Leonardo da Vinci alle pareti, un haiku non finito sul foglio nella macchina da scrivere. Allen, Peter e Gregory erano seduti a tavola e mangiavano e bevevano, compiacendosi del fatto che fosse il primo pasto vero che consumavano da giorni. Più tardi arrivò anche Jack Kerouac. Si misero tutti a mangiare e Peter scodellò un meraviglioso purè istantaneo in scatola. Si sedette a tavola anche Carol, cercando di rendersi invisibile per poter fissare meglio Jack Kerouac. Per molto tempo lo aveva visto in fotografia, perché una sua compagna di stanza all’università teneva la sua foto sulla porta. Jack dal vivo era più basso e più solido. Vestiva come se cercasse di passare per uno scaricatore di porto o un taglialegna. Aveva stupefacenti occhi azzurri e una calma concentrata che gli dava un’aura messianica. Carol disse loro di avere appena letto sul New York Times che il ministro della Cultura dell’Unione Sovietica lo considerava il miglior scrittore americano del momento perché era il solo a riconoscere i danni del capitalismo. Jack rimase basito e tutti scoppiarono a ridere. “È davvero buffo,” disse Allen, “perché Jack ama Eisenhower”. Dei tre coinquilini della casa, Allen era quello che prendeva il suo ruolo di profeta del beat più seriamente, con zelo missionario voleva salvare i giovani da un’esistenza borghese asfittica e aprirli a una vita di sensazioni, mentre Gregory, che era più “clown”, non perdeva mai di vista il ridicolo dell’aspirazione umana al sublime. Jack Kerouac, il più distaccato dal movimento e quello che aveva avuto più successo, viveva a Northport con la madre e cinque gatti, e capitava a New York di tanto in tanto. Si era tolto dalla mischia sperimentale per fare una vita più solitaria, minacciando persino di smettere di bere. Mentre lui scriveva articoli di viaggio per la rivista Holiday e vendeva i suoi racconti al cinema, Allen passava gran parte del suo tempo a ritagliare gli articoli di giornale sul movimento beat, ne aveva un enorme cassetto pieno. In attesa dell’applauso universale, i tre si applaudivano vicendevolmente: Allen Ginsberg diceva che Gregory Corso era il più grande poeta americano vivente, Kerouac dichiarava: “Credo che Gregory Corso e Allen Ginsberg siano i due più grandi poeti americani di oggi”, e Corso era convinto che Ginsberg fosse il maggior poeta e Kerouac il maggior romanziere dell’America contemporanea.”

Un viaggio nel passato che si trasforma in un volo aereo nel presente. Maria Pace Ottieri, infatti, partirà per New York alla ricerca di quella non più giovane ragazza, che con il suo personale e divertente italiano, il suo carattere ingenuo e sognatore suscita affetto e anche commozione, quando, come Tinker Bell, si domanda come mai non riesca a volare.

“Cara Carolyn,
non temere, non morirò, te lo prometto. Come faresti senza la tua amica Silvana che ti pensa sempre e ti segue anche se da lontano, che parla con te attraverso tutto questo mare e questo cielo?”

Silvana si prodigherà sempre perché le poesie di Carol trovino pubblicazione in Italia. E così è stato. Alla fine del libro ne troviamo alcune, tradotte da Silvia Bre, Maria Pace Ottieri e Antonello Borra.



COMMUTING

Sunday morning
I return
To find the cracked, off -
White walls of my small
Apartment stripped bare,
Furniture dressed in Chinese mourning. My faux
Aubusson rug, tightly rolled, leans
Against a closet door. All
My books are gone, even the radio's
Gone dead. The woman, who
Lived here, has moved out, leaving
No trace, except for a not-
Quite-believable green
Fur hat planted
On a chair.

ANDARE E VENIRE

Domenica mattina
torno
e trovo le pareti
biancastre del mio piccolo
appartamento denudate,
il mobilio coperto in gramaglia cinese. Il falso
tappeto Aubusson, arrotolato stretto, è addossato
contro un'anta dell'armadio. Tutti
i miei libri spariti; anche la radio
è morta. La donna, che abitava
qui, ha traslocato, senza
lasciare traccia, tranne un alquanto
incredibile cappello di pelliccia
verde mollato
su una sedia.

La seguente considerazione di Carol, a proposito del consumo smodato di thriller, mi ha fatta sorridere:

“Carol riceveva a casa regolarmente il catalogo di una libreria di Manhattan dove un tempo comprava molti libri. Annunciava le novità con toni enfatici e slogan roboanti: “Ci sono segreti che non andrebbero mai raccontati… sembrava solo un gioco, ma era peggio della morte”, oppure: “Il suo stesso passato nasconde la chiave per smascherare un abile e diabolico psicopatico. Ma ancora molto sangue dovrà scorrere prima che Nick scopra la terrificante verità”. Si divertiva a immaginare il tono solenne e minaccioso a cui l’ufficio marketing della casa editrice si era ispirato per buttare giù quelle righe. Erano solo thriller, thriller e ancora thriller. Più la trama del libro era truce e sanguinolenta, più gli autori, spesso le autrici, dopo aver raccontato con gusto e dovizia di particolari squartamenti, sgozzamenti e oscure perversioni, ostentavano nelle brevi biografie una vita bucolica: “Vive nello Yorkshire con il marito, due figli, tre cani e una capretta.”


courtesy by Sabina Rizzardi




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