![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJEL1TXRZzTWAtETAiDMvr5bH55OJgzFoBRwvxZuDCyy-9l-ZCLJzE05CaCwSCqH5fipYMY5k6BCX3E-hw-i2USBq7qpcNoHuUQpBAX75PDfwRBCxAIUxqkkADu7K7-LbUHpuW65FeH0eK/s400/newyorkercover.jpg)
Vale la pena osservare bene questa immagine, una possibile libreria del futuro (prossimo o remoto, non so) dove la commessa indica allo stupito cliente dove può trovare i libri: in un piccolo scaffale in basso. Tutto il resto dello spazio è occupato da altri oggetti: vediamo maglie e borse (con la faccia di Hemingway e Shakespeare, sai che consolazione), statuine, cappelli, lampadine per la lettura. Tutto fuorchè libri: potrà ancora chiamarsi libreria un negozio del genere?
Ho scritto libreria del futuro, in realtà il fenomeno è iniziato da tempo e in molte librerie è già evidente anche se non nelle proporzioni che la copertina del New Yorker raffigura.
Eppure la parte di NON-LIBRI (come in gergo libraio viene chiamato tutta la parte di cartoleria e oggettistica) è in crescita nelle librerie di catena e anche in molte librerie indipendenti.
Io vedo un controsenso in questo atteggiamento: il mestiere del libraio può essere diverso da molti altri mestieri a condizione (necessaria ma non sufficiente) di vendere libri. Se per continuare a vendere libri bisogna cedere spazio, risorse, energia a altre categorie merceologiche, che differenza rimane fra un libraio e un altro commerciante?