Harold di Einzlkind


Che la vera identità dell’autore o autrice sia sconosciuta poco importa. Che einzlkind, lo pseudonimo scelto, significhi “figlio unico” ci porta immediatamente dentro la storia scritta in terza persona. einzlkind sa scrivere bene: ritmo della narrazione veloce, storia e personaggi molto reali anche se oltremodo strambi e dissociati, pensieri coinvolgenti per trattare con cinismo, humour nerissimo, ma anche tanta tenerezza, un tema così importante come quello del rapporto tra padre e figlio. Tutto è giocato da un lato sulla diversità di percezione della realtà che hanno Harold e Melvin – Melvin dice che, invece Harold pensa che, Melvin fa, invece Harold farebbe; dall’altro sulla perdita, sull’assenza e sul desiderio di avere qualcuno che assomigli ad una guida per sentirsi meno sbattuti nel mondo.


Il narratore ci racconta tutto quello che accade da un Giovedì a un altro Giovedì, ad Harold e Melvin, due figli unici e senza padre, quarantanove anni il primo, undici il secondo. Harold ha perso anche la madre, vive a Londra, lavora come macellaio in un supermercato e ha imparato ad apprezzare la sicurezza, la rinuncia e l’eterno, talvolta addirittura l’armonia con se stesso e anche con la scritta sul suo grembiule, che recita: “Sono Harold. Cosa posso fare per Lei?”. Per mancanza di tempo, alla fine della pausa, Harold non è riuscito a cambiarsi e, imbrattato di sangue bovino dalla testa ai piedi, è andato comunque dietro al banco di delikatessen a servire i clienti della high society. Dopo diciassette anni, undici mesi, tre settimane, quattro giorni e tre ore Harold non può più fare niente per loro perché viene licenziato.

Nel libro tutte le descrizioni sono bellissime. Siamo sempre dentro a quello che accade; l’occhio, veloce com’è, sa soffermarsi comunque sui dettagli e, ogni volta che la palpebre sbattono, compare qualcosa. Ecco un esempio.
Dopo essere stato licenziato, Harold prende l’autobus 31 strapieno:
Quando l’autobus riprende la sua corsa, i passeggeri vengono sballottati di qua e di là […]. A ogni curva la tensione sale, nessuno scambia una parola, le parole sarebbero semplicemente fuori luogo in quella trappola di lamiera in movimento, piena di persone la cui pelle è diventata grigia come il tempo. […] “Quanto mi piacerebbe essere un kamikaze, adesso,” mormora una giovane donna con indosso la giacca di una tuta di flanella grigia e un berretto di lana rosso, in piedi di fianco ad Harold, ma una bomba in quel momento non ce l’ha con sé, neanche un coltello da cucina, in compenso ha un anello al naso. […] Scendere e salire equivale a una dichiarazione di guerra, un campo minato di sentimenti, un passo falso ed è finita. […] Vanessa è appoggiata mezza nuda in grembo a un anziano signore ed esalta i suoi pregi con il sottotitolo: “Adesso si risponde agli spari”. Quando il signore anziano si accorge che la giovane kamikaze lo sta trafiggendo con lo sguardo, gira le pagine del Daily Mirror: “Sedicenne spara all’impazzata in una mensa affollata”. […] In fondo all’autobus le strilla di un neonato invocano i dentini ed è fortunato che l’infanticidio sia vietato dalla legge. “Perché poi?” si chiede un adesivo verde attaccato di fianco al martello per l’uscita d’emergenza.

Nel palazzo senza troppe pretese in Golborne Road dove vive, tutti accettano il suo hobby: Harold s’impicca al massimo una volta al mese, nella prima metà, mai di martedì e sempre prima delle 21. Perché lo faccia non lo so ma si esercita soltanto e dunque non muore mai. Durante i suoi esercizi Mrs. Cardigan gli ricorda persino che “quando avrà finito di impiccarsi, dovrebbe darsi una rinfrescata, tra due ore ci vediamo da Emma Merrythought per una partita a bridge”. Durante la partita Mrs. Cardigan informa tutti dell’arrivo dei nuovi vicini, Denise Bentham e figlio. Il ragazzo, che a suo vedere dice cose sconclusionate, si chiama Melvin, è fruttariano ed è un genio. Tratta tutto con la distanza riservata ad una ricerca scientifica e difende la propria fragile unicità disprezzando il genere umano in tutte le declinazioni.
A causa di un viaggio di lavoro la madre, non potendo contare su alcun aiuto familiare, lo affida ad Harold ma Harold, che è decisamente sociopatico, non è a suo agio con questa decisione. Mancano tre minuti alle quattro. Suonano alla porta. Il tragitto per raggiungere la porta è più lungo del solito, il pavimento di assi all’altezza della credenza emette un cigolio tormentato come non era mai successo prima, nelle ultime ore la forza di gravità deve essersi concentrata esclusivamente sul salotto […]. Quando Harold apre la porta, ha la sensazione di affrontare una tormenta di vento.
Ed è esattamente quello che gli accade.

“Io sono affetto da savantismo”. […] Harold si chiede perché le foglie del ficus benjamin siano diventate marroni così presto.
“Lei sa cos’è un savant?”.
Harold ci pensa su un attimo decidendo infine che si tratta di un formaggio francese, poi corruga la fronte con l’aria di chi la sa lunga come ha visto fare a Humphrey Bogart nel Grande Sonno.
In queste poche righe è contenuta tutta la meraviglia dello scambio tra le due visioni del mondo di Harold e Melvin, trascendente il reale la prima, da fisico sperimentale specializzato in sistemi nano-bio la seconda.
Dopo aver trascinato Harold tra corse di cavalli, quartieri malfamati e uomini della malavita in un universo tutt’altro che sicuro, privo di rinuncia, senza filtro alcuno, vissuto momento per momento, Melvin, durante l’assenza della madre, lo sceglie come compagno in una missione importantissima. Vuole cercare il padre di cui conosce solo il nome per scoprire chi sia tra i cinque Jeremiah Newsom presenti in Inghilterra e in Irlanda; partono a bordo di una Saab 900, auto per intenditori, per individualisti e spiriti liberi, niente a che vedere con le monovolume standardizzate […] che rappresenterebbero solo la natura umana plasmata con acciaio e plastica nella sua scialba uniformità. Ancora una volta Harold non è a suo agio e preferirebbe essere ad Hyde Park impegnato in un altro dei suoi esercizi: la conta dei rami della Betula Pendula.

I potenziali padri sono un avvocato stimato, un pugile fallito che si dice poeta e vive in un bordello, un esponente del mondo omoerotico, l’alterego arabo di Luca Brasi, un nonno; e dove c’è un nonno di solito c’è anche un figlio e forse un padre.
Proprio la conversazione con l’alterego di Luca Brasi ci fa capire com’è Melvin.
Giunto, senza essere annunciato, a casa del suddetto alterego, assiste accidentalmente con Harold ad un regolamento di conti. Scoperti, vengono fatti accomodare all’interno. Il presunto padre sta interrogando un signore sudatissimo e seduto immobile su una poltrona, mentre una specie di maggiordomo gli ha appena mozzato il mignolo con un accetta. Nonostante le circostanze preoccupanti e la scena agghiacciante, Melvin intavola una conversazione col padrone di casa a proposito del mobilio:
”Bello il mobilio”, dice Melvin cercando di ridare slancio alla conversazione […].
”Grazie”, risponde la voce profonda.
Quel favoloso vaso cinese contiene un Chlorophytum comosum?”
Si”.
Una delizia per gli occhi”.
Grazie”.

Il finale non lo dico. Forse Melvin trova un padre o forse no. Forse non lo trova ma lo trova lo stesso. Forse gli basta voltarsi verso il sedile di guida della Saab 900. Forse trova una guida anche se stramba. Così concludo:
Se Harold potesse, farebbe la magia di trovare un padre per Melvin. […] Ma Harold non è in grado di fare magie. Non lo è mai stato. Anzi, bisognerebbe chiedersi che cosa sappia fare. Un po’ di cosette ci sarebbero certo, niente di sconvolgente, ma abbastanza per buttare giù un piccolo elenco: è capace di starsene seduto in silenzio su una panchina fino a che gli uccelli non si dimenticano di lui. Riesce a gonfiare quarantuno palloncini prima di svenire. È in grado di guardare dalla finestra della sua cucina più a lungo di quanto duri un pomeriggio o una mattinata. Riesce a bere tre litri di tè senza andare in bagno. È in grado di occuparsi di Mrs. Cardigan quando ha l’influenza. È capace di gironzolare per ore tra i campi di mais senza incontrare nessuno. Se proprio è necessario, riesce anche a gioire per i regali ricevuti. È capace di stare in piedi su una gamba sola per oltre quattro minuti senza cadere. Riesce ad immaginare di non essere sempre così spontaneo. Riesce a sognare lumache extraterrestri senza guscio che cadono dal cielo.
Riesce a dormire.
Non ci riesce.
Ci riesce.
Non ci riesce.
Ci riesce.
Non ci riesce.
Ci riesce!


Forse Harold, questa volta, una magia riesce a farla.

courtesy by Sabina Rizzardi

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