Paolo Ganz è un gran affabulatore, un cantastorie (che non è la stessa cosa di essere un contastorie). Le parti più belle di questo libro sono quelle dove Ganz si abbandona a questo racconto e ci regala delle storie, dense anche di particolari minimi. Forse sarà che l'ho sentito varie volte leggere brani degli altri suoi libri ma con questo sono io che leggo ed è la sua voce che sento: la sua scrittura è orale, è fatta per un racconto fra amici, è lui che si siede di fronte e ti fa:" Ascolta, le cose sono andate così." E inizia a raccontare.
Denis Bortolato è il protagonista di questo libro. Un giovane veneziano, senza arte nè parte, senza particolare fascino. Nemmeno Venezia è usata per fare da sfondo nobile alle sue avventure (grazie!). Il suo lavoro, lui ripara cellulari, lo porterà a vedere cose che non avrebbe dovuto vedere e da qui inizia l'avventura di Denis suo malgrado. Questo sarà la cifra di tutto il romanzo: l'esser trascinato nell'azione, l'inevitabilità e il caso che determinano le sue vicende e che lo faranno diventare, finalmente, uomo adulto. L'unica pecca che gli rimane: il suo caffè non piace a nessuno.
Molti i personaggi che gli fanno da contorno, fra i più riusciti tutta la squadra di poliziotti e poi la vecchia istriana: Denis nelle sue peripezie arriverà in Croazia e troverà questa vecchia, fuggita da Pola alla fine della guerra e nascosta da allora in un villaggio abbandonato all'interno della Croazia. Sarà questa un'occasione per parlare delle vicende degli italiani in Istria alla fine della seconda guerra mondiale. Queste pagine sono un pezzo di bravura per il dialetto con cui Ganz fa parlare la vecchia.
"Oro schifoso, oro che non serve a niente, oro marso,
oro sporco de sangue ma che basta lavarlo el torna neto.
Oro falso, oro rubado, oro che ze fa de tuto per averlo,
oro mato, oro che dovaria bruzarghe le man de chi che lo toca.
Oro che dormi ne la casaforte dei siori,
oro che ciol in giro chi che mori de fame.
Oro infame!"