Ogni tanto i giorni, che sono pieni di
persone e di merci e di soldi, mi stancano molto, la bocca diventa
una linea diritta e gli occhi cominciano a guardare per terra. Allora
vado in una parte della città dove si vede l'orizzonte, a Venezia
non è facilissimo. E ci vado col mio cane e, se quel giorno sono
fortunata, anche con altri cani, suoi amici. Dopo un po’ che
camminiamo, masegno dopo masegno, li libero dal guinzaglio e loro
hanno sempre un sacco di faccende da sbrigare: far volar via un
gabbiano, avvicinarsi al pescatore sulla fondamenta, indugiare al
sole stringendo gli occhi a forma di mandorla, restare indecisi sulla
direzione da prendere, perché da tutti i quattro venti fiutano
qualcosa d’invitante, che io non sento. Dopo circa tre quarti d’ora
di passi, comincio a sorridere, infatti, mi sembra che la cittÃ
possa essere di tutti, nonostante i tanti divieti per gli animali, e
perché mi ricordo che, nonostante la posizione fisicamente eretta e
i tanti pensieri da presuntuoso essere umano, io sono un animale.
Io sono un poeta e quindi sono un
animale. Come gli animali, il poeta è una creatura che sta sempre
con le orecchie tese, sempre a spiare il pericolo. Forse è per
questo che Franco Arminio si mette a guardare dall’altezza del
cane, del topo, del ragno, del gatto, della capra, dell’asina,
della mosca. Le favole con le quali cresciamo sono tutte piene di
animali, i giochi e le canzoni che ci fanno compagnia sin da piccoli
sono a forma e raccontano spesso di animali, eppure quasi tutto ciò
che facciamo, in tutti i nostri giorni, è essere loro ostili.
Gli animali da paese di Franco Arminio
sono veri, tutti col gran desiderio di vivere insieme, invece di
guardarsi da noi e di abitare i nostri limiti. Simone Massi li
disegna come animali veri, il cane da cane, il topo da topo, il ragno
da ragno, il gatto da gatto, la capra da capra, l’asina da asina,
la mosca da mosca, senza occhioni, vestitini o colori inventati.
Franco e Massimo riescono a farci ascoltare le loro storie, a farci
capire che tutti abbiamo qualcosa da raccontare, e che le storie che
raccontiamo sono in realtà una, grandissima, che ci comprende tutti.
Sentite cosa ci dicono la capra e la
mosca.
Sono una capra e vivo a Craco, un paese della Lucania. Le persone
dicono che è un paese morto. Le persone dicono sempre così quando
in un posto non ci sono più gli uomini, come se noi capre, e le
bisce e i corvi e le lumache e le lucertole, non contassimo niente. A
Craco abbiamo pure il problema che il sindaco non ci vuole nel paese,
perché il sindaco pensa che le rovine devono fruttare un po’ di
soldi e invece noi capre diamo solo un po’ di latte. […] Per noi
non è un problema scavalcare un muro rotto, affacciarci a una
finestra dove non si affaccia più nessuno, entrare e uscire dalle
case squarciate, sfogliare un libro con le zampe, mettere il muso
nella tasca di un vecchio cappotto. […] Spero che il sindaco si
renda conto e ci lasci in pace.
Una volta nelle case del paese appendevano una striscia di
carta con la colla sopra. La chiamavano carta moschicida. Poi
arrivarono quegli spruzzi di veleno che chiamavano Ddt. Adesso per
ammazzarci alcuni usano delle racchette che se ci sbatti contro
prendi la corrente elettrica e muori bruciata. Insomma è sempre una
guerra. Ci vuole fortuna perché qualcuno ti stringa nel pugno della
sua mano e ti porti fuori dalla casa e ti rifaccia volare.
courtesy by Sabina Rizzardi