Criminali di Philippe Djian

"Perchè abbiamo tutti una storia da raccontare" recita lo slogan di un noto editore a pagamento italiano. Io non ne sono così convinto, che proprio tutti abbiamo una storia da raccontare. Sono invece convintissimo che, per un buon libro, non è necessaria una storia originale e questo libro di Djian me lo conferma: succede poco nelle pagine che descrivono qualche mese di vita di Francis nel paesino francese lungo il fiume Sainte-Bob.
Questo non è un romanzo di formazione, non ci sono giovani uomini che devono decidersi di diventare grandi. Qui il protagonista, Francis, è già adulto. Un divorzio alle spalle, un figlio ventenne con cui ha seri problemi a comunicare, una compagna di poco più giovane, un padre anziano con l'alzheimer, un lavoro in bilico. Francis è innegabilmente adulto, quello che dovrà digerire è che non è diventato l'adulto che si aspettava. E tutto il libro è permeato dalla consapevolezza del poco tempo che resta, delle cose che non potranno più tornare, del fatto di non essere più giovani, di quanto si è perso per sempre: non è una sensazione per forza triste, ma tutto ne è intriso, i dialoghi, gli argomenti, il modo di vivere e pensare, i problemi da affrontare e il modo come affrontarli, il rapporto di coppia, l'amicizia, tutto.

Francis risulta il più forte di tutti i personaggi che Djian rappresenta semplicemente perchè è l'unico che diventa consapevole di questa situazione, che smette di battersi e di sbattersi per cercare una vicinanza fra quello che è diventato e quello che pensava di diventare.
E' la nostra immagine di noi a impedirci di evolvere, non so se mi spiego. Non per forza peggioriamo, ma ci ritroviamo diversissimi rispetto a quanto credevamo. Prendi lui, per esempio, è un pesce ma ancora non lo sa. E fin quando non lo saprà - storco la bocca e alzo le spalle. - Be', continuerà a sbattere la testa contro un muro.

Ma questo avviene dopo; per arrivarci Francis dovrà passare attraverso un suo personalissimo percorso di dolore, frustazione, incomprensione su tutti i fornti della sua vita, donna, figlio, lavoro, padre, fratello, amicizia.
Qui uno dei punti più bassi a cui Francis arriva:
A quel punto lei mi vede crollare sul letto come un crocefisso, la testa piena zeppa di problemi a più non posso [...] Mi vede fissare il soffitto, ma decide lo stesso di girarmi intorno in mutande proprio quando un esercito di troie professioniste non riuscirebbe a smuovermi di un centimetro E mi dice anche:
- Tutto qui, l'effetto che ti faccio?
Mi vede cercare faticosamente una risposta nel caos oscuro del mio cervello e trarne le mie conseguenze. Mi vede darmi un daffare bestiale [...] ma in realtà vede solo quello che vuole vedere lei, perciò domanda:
- Perchè lo fai, se non ne avevi voglia?
Ecco, per esempio. E non è l'unico, ne avrei altri cento.
Oppure si tratta di un migliaio di piccoli particolari. Un mio gesto mancato, una parola che non ho detto mentre intorno a noi crolla il fianco di una montagna e non siamo più agili come a venti o trent'anni e il prossimo colpo potrebbe essere quello di grazia. Perchè lo faccio se non ne avevo voglia? Perchè da parecchio tempo non faccio solo quello che mi piace nella vita e non mi viene più neppure in mente di lamentarmene. Mi senti?! O sono solo una voce urlante nel deserto?!




Djian ci racconta tutto o quasi tramite dialoghi, i migliori sono quelli fra Francis e la sua compagna, e tramite questi dialoghi ci viene rappresentato tutto o quasi. Djian evita il racconto laterale, evita le digressioni, è concentrato sulla vita di Francis, quello che entra nel racconto è quello che lo tocca di persona, se non interessa Francis o non interessa più, non se ne fa cenno. E' significativo il modo in cui il padre di Francis uscirà di scena dal libro: da una parte lascia stupito il lettore, dall'altra non avrà alcun seguito nelle pagine successive.





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