Anni fa lavoravo a metà strada fra Verona e Vicenza e, stufo di quotidiani viaggi Venezia-lavoro, decisi di trasferirmi nella città più vicina. Mi bastò una visita a Verona e una a Vicenza per non avere dubbi e scegliere Verona. Le ragioni che non mi fecero scegliere Vicenza si ritrovano tutte in questo libro dell'esordiente Mariapia Veladiano, "La vita accanto". Vicenza, in questo libro, non è solo lo sfondo dove scorrono le vite dei personaggi di questo romanzo. Vicenza diventa una condizione essenziale perchè, partendo dagli stessi fatti, le vite dei personaggi prendano una direzione oppure un'altra. Questa città chiusa, dove tutti si conoscono, dove bisogna mostrarsi ed è obbligatorio nascondere e non far sapere ciò che è considerato male e quindi peccato, questa città rende tragica la situazione della protagonista, bambina nata brutta, e della sua famiglia: situazione magari estrema ma solo potenzialmente tragica. E' l'ambiente, questa città bella esternamente e putrida dentro, che la rende tragica. La storia di Rebecca, la bambina che nasce, cresce e diventa giovane donna con questo peso della sua bruttezza, ci viene raccontata da Veladiano con una non comune bravura. E' un romanzo breve dove il peso del racconto è tutto sulle spalle di chi ha scritto, di chi ha scelto parole e frasi, di chi ha restituito a noi lettori una storia intensa fatta di frasi brevi e condensate, dove la brevità del romanzo è compensata dal tempo che un lettore può perdere riflettendo su alcune frasi, a volte con gli occhi inumiditi dall'emozione. E' un vero piacere leggere questo libro, riconcilia con la narrativa, fa pensare che chi parla di morte del romanzo forse si sbaglia e fa sperare di aver trovato una grande scrittrice cattolica, una Flannery O'Connor italiana.