Nessuno può permettersi il lusso di ignorare che quando la politica (e le relazioni sindacali) chiudono la porta a ogni possibilità di dialettica negoziale, e quando tutto si gioca su un piano di potere bruto, l'unica via che resta aperta al dissenso - piaccia oppure no - è l'esercizio della violenza; e casomai ci sarà da discutere sulle gradazioni che la violenza debba assumere, perchè fra l'azione simbolica di disturbo e la rivoluzione esistono molte possibilità . A nessuno, probabilmente, piace la violenza in sé. Ma non è bello nemmeno che l'aria venga sottratta a poco a poco, e che quando si tenta di reagire qualcuno sostenga che è bene tenersi quel poco d'aria che è rimasta, altrimenti l'aria ce la porteranno via tutta
Finchè non ho letto questa frase nel libro "Il paese dei buoni e dei cattivi " di Federica Sgaggio ero convinto di leggere un libro sull'informazione in Italia, interessante e ben fatto, ma di argomento e respiro limitato. Mi sbagliavo.
Federica Sgaggio è giornalista e tiene un blog su informazione e cultura, due colonne taglio basso. Il suo è un libro sulla libertà di stampa e diritto all'informazione e sull'importanza che queste hanno perchè un paese possa dirsi veramente democratico, un paese dove le persone possano giudicare e scegliere sulla base di informazioni corrette e correttamente veicolate.
Per tutto il libro si coglie, come un sottofondo, la rabbia trattenuta della Sgaggio nel vedere calpestata e negletta la principale funzione del giornalista: fare domande. Penso sia patrimonio d'esperienza comune il ricordo di diverse interviste, soprattutto televisive, dove il giornalista poteva fare da scendiletto al politico di turno tanto scontate e poco incisive erano le domande. E immagino che, come me, molti leggendo gli articoli sui giornali si domandino quanto ci sia del giornalista e quanto invece non sia mera trascrizione di comunicati ideati da altri. Mancano le domande: le domande vere, quelle che possono accendere una luce diversa sulla questione che si sta presentando nell'articolo, quelle che possono creare una distanza critica fra intervistatore (e quindi lettore) e intervistato.
E' molto istruttivo seguire la Sgaggio nello svolgersi del libro. Il metodo seguito, e non poteva essere altrimenti, è quello dell'analisi del testo degli articoli, dello smontaggio: con questa tecnica l'autrice prima ci fa leggere il testo, poi lo smonta rivelando i significati nascosti e a volte prova a riscriverlo.
I giornalisti hanno smesso di fare domande, i giornali hanno smesso di fare informazione: per quale motivo? Qui la maggior parte delle citazioni di articoli sono di Repubblica, un giornale di opposizione. Quindi non si può giustificare una mancanza di professionalità dei giornalisti con la ricerca di compiacere il potente di turno.
La motivazione fornita dalla Sgaggio è semplice ed inquietante allo stesso tempo: i giornali hanno smesso di fare informazione perchè per mantenere i lettori hanno dovuto "fidelizzarli" , hanno dovuto trasformarsi da portatori di informazione a portatori di bandiera, invece di lavorare per noi alla ricerca di fatti e informazioni documentate ci dicono da che parte stare. Ecco allora il paese dei buoni e dei cattivi, ecco la divisione fra bande, ogni banda una bandiera e un giornale in cui riconoscersi.
Nel libro vengono presentati molti casi a sostegno di questa tesi. E questa tesi trova un inaspettato riscontro in un campo vicino a quello dell'informazione, quello della letteratura. Daniele Giglioli nel suo "Senza trauma - Scrittura dell'estremo e narrativa del terzo millennio" parla del successo dei romanzi di De Cataldo. A cosa si deve il successo dei suoi romanzi? Cosa rende le sue trame uno specchio in cui tanti amano riconoscersi? [...] De Cataldo prospetta al lettore una visione della storia italiana che al di là di ogni apparenza è un'ininterrotta guerra tra bande. [...]bande non necessariamente criminali e non necessariamente clandestine che lottano senza quartiere per stabilire chi comanda.
Ne "Il paese dei buoni e dei cattivi" i temi trattati sono vari e tutti interessanti perchè fanno riflettere, perchè, come un bravo giornalista deve saper fare, mette in luce un aspetto che prima forse non avevamo preso in considerazione. Per esempio quello che la Sgaggio chiama "la manutenzione delle comunità " e cioè la petizione con raccolta firme. Le sue pagine sono scritte per far riflettere su questo modo surrogato di far politica, che molti propugnano e rivendicano come efficace, ma che serve per farci sentire comunità , comunità di un giornale come potremmo far parte della comunità della Apple.
Altro capitolo da leggere è quello, parafrasando Eco, della fenomenologia di Saviano: se un giornale deve aggregare i suoi lettori invece di informarli, più che di bravi giornalisti che facciano inchieste, ha bisogno di editorialisti o altre figure note che scrivano sul giornale. Il caso di Saviano è, per la Sgaggio, un paradigma. Nel libro, è bene precisarlo, non viene mai nè contestato nè sminuito per quello che ha fatto con il suo libro, Gomorra, e per tutto quello che è legato alla sua attività di competenza (lotta e denuncia della criminalità organizzata). Però di Saviano la Sgaggio dice: è del tutto evidente che il suo ruolo civile consiste nel suo essere testimonial. Nel suo essere un "personaggio", un "marchio", un "brand" che proietta un po' della sua luce su tutto ciò a cui si avvicina. E la Sgaggio ne fa di esempi, riportando inteventi di Saviano su Repubblica, fra cui anche la lettera ai ragazzi del movimento scritta da Saviano dopo gli incidenti a Roma nel dicembre 2010. La reazione della scrittrice a questa lettera sono le parole che avete letto in apertura di questo post.
Questo è un libro che non vuole essere una bandiera di una parte, non cerca il facile consenso radunando "noi" contro un qualche "voi". Non parla di caste nè incita a indignarsi, magari restando comodamente seduti in poltrona. Questo è un libro, come altri della serie INDI, penso all'ultimo di Antonio Pascale "Questo è il paese che non amo" , che si rivolge soprattutto alle persone di sinistra cercando di farli riflettere su quali siano i tratti distintivi della sinistra rispetto ad altre parti politiche, invitando a fare attenzione alle parole che si usano, parole che servono a narrare la nostra storia degli ultimi anni o che servono alla cronaca quotidiana della nostra vita.