La meravigliosa utilità del filo a piombo di Paolo Nori

Era una domenica mattina, ero a casa e, come al solito, la radio era sintonizzata su Rai3. Il mio tentativo di ascoltare la radio era reso difficile dalla confusione di sottofondo, bambini urlanti che, per una qualche strana coincidenza, alzano la voce esattamente durante i programmi che mi interessano.
Quel giorno in onda c'era una replica di Uomini e profeti, non la mia trasmissione preferita, però ad un certo punto ho iniziato ad ascoltare con più attenzione, c'era un tipo che raccontava di una vecchia che si sporge alla finestra e cade e allora un'altra vecchia si sporge e cade e anche la terza e anche la quarta. Cerco di ottenere un po' di silenzio, alzo il volume della radio e afferro qualche altra frase, una citazione delle ultime parole di Vanzetti di fronte alla Corte che lo avrebbe condannato a morte, una di un autore di cui non capisco il nome, un russo direi, sul fatto che le cose che noi diciamo, al cinquanta per cento non siamo proprio noi a dirle, ci limitiamo a ripeterle. E la voce, perchè non ho capito chi sta parlando, dice che questa frase è stata scritta cinquanta anni fa e che adesso quella percentuale è salita al novantotto per cento.
La confusione non mi permette di seguire altro, per fortuna esiste il podcast e quindi posso riascoltarmi con calma e in silenzio il programma:(QUI il link al podcast) chi parla è Paolo Nori e quello che stava leggendo erano passi dal suo libro: "La meravigliosa utilità del filo a piombo".
Non è un romanzo nè un saggio, è una raccolta di suoi interventi, di suoi discorsi, fatti in momenti, tempi, occasioni diverse. Lo stile è quello del parlato, anche forse troppo accentuato ma la lettura non ne è affaticata, anzi.
Uno degli interventi migliori è "Un mondo di esperti" che inizia "Mi hanno chiesto di spiegare il posto in cui ci troviamo, il museo d'arte moderna della città di Bologna, ai ciechi, a chi non può vedere. [...] si tratta forse un po' di rispondere alla domanda Cosa ci va a fare, un cieco, in un museo d'arte moderna?".
Questi discorsi hanno un tema e hanno anche una conclusione a cui Nori arriva dopo aver fatto girare il lettore/ascoltatore, hanno dei punti di partenza che, rispetto al tema e alla conclusione, lasciano spiazzati. Ci sono momenti al limite del comico. Ma la cosa più interessante di questi discorsi non è la conclusione e Nori stesso lo ammette: "Per via di questo, di ragionamenti, io quando ho cominciato avevo delle cose da dire, solo che, siccome è un ragionamento, questo, fatto di parole, c'è un fatto, che i ragionamenti con le parole, finirli, è sempre una cosa tristissima, per me. Cioè come se tutto quello che uno aveva detto prima, l'avesse detto per arrivare lì, alla fine, per dimostrare chissà che cosa." La cosa più interessante è tutto quello che Paolo Nori ha da dire prima della conclusione, i percorsi logici e di conoscenza che ci fa fare, gli incontri con autori e libri, gli incisi che non c'entrano niente, forse.

In "Un mondo di esperti" ho trovato anche una quantità di riferimenti interessanti e utili per chiunque voglia capire meglio la letteratura, per esempio tutta la parte dedicata alle tesi dello straniamento di Sklovskij, da L'arte come procedimanto, che per me prima era un ufo e invece adesso parla la mia lingua e il merito è di Nori. Nello stesso intervento c'è una specie di poetica di Nori:
"Che io una volta un mio amico parlando di letteratura lui mi diceva che gli autori che piacevano a me erano tutti dei marginali, e io ho pensato Per forza.
Che gli autori che in un dato momento tutti dicono che sono fondamentali, gli autori che tu li trovi citati su tutti i libri in tutti i giornali in tutte le conversazioni, gli autori alla moda, gli autori ai quali si abbeverano tutti, se così si può dire, in quel momento lì che sono alla moda che tutti ci si abbeverano, se uno ci va accanto li trova indeboliti, smunti, sbranati, fatti a pezzi, debilitati, ridotti in pillole e ammalati, anche, febbricitanti, anemici, respirano male, mangiano troppo, fan poco moto, c'è pieno di gente che li porta in giro, in palmo di mano, e allora poi loro diventano pigri, han poco fiato, fanno fatica a fare le scale, e parlano male, riescono a dire ormai solo quelle due o tre cose che ripetono così, a pappagallo, sembran dei deficienti, magari è solo un momento difficile, bisogna avere pazienza, aspettare una ventina d'anni e poi andargli accanto e allora lì sì, che uno si rende conto di cosa hanno da dire, che ormai gli è passata la sbornia, gli son passati anche i postumi, sono lì sobri che ti dicon le cose direttamente senza in mezzo tanta ermeneutica"
Da qui si capisce sia la posizione di Nori rispetto agli autori "fondamentali" sia il suo modo di parlare e di rendere il parlato in forma scritta.

L'altro discorso notevole di Nori è quello che ha dato corpo alla trasmissione si Rai3, s'intitola "Noi e i governi" e in queste pagine Nori si pone delle questioni sulla libertà dell'uomo e sul rapporto con quelli che, in modo molto generico, chiama i governi. E' un intervento da leggere e da rifletterci su, ci sono citazioni, come quella di Vanzetti, che bisognerebbe imparare a memoria, come fanno le Donne di carta, per ricordare sempre. A me piace invece chiudere con questa, sempre riportata da Nori, dal Cyrano di Rostand, perchè è molto vicina alla mia indole e alla mia attività, di libraio di libreria indipendente:
"Cosa dite? E' inutile? Lo so. Ma non ci si batte  nella speranza del successo. So bene che alla fine io sarò sconfitto; non importa. Io mi batto, io mi batto, io mi batto."



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