La più lucente corona d'angeli in cielo di Rick Moody

Sandro Veronesi, uno degli scrittori italiani che più ammiro, questa estate leggerà (QUI il link) :
"Le quattro dita della morte di Rick Moody – perché Rick Moody è uno degli scrittori migliori che io conosca -  e Sentimenti sovversivi di Roberto Ferrucci, perché seguo Ferrucci da anni. Fine, anche perché Moody è circa novecento pagine." 
Bene, Roberto Ferrucci, veneziano, lo conosco e apprezzo le sue opere. Rick Moody, newyorkese, non lo conoscevo affatto. In attesa che mi arrivi il suo ultimo libro, questo corposo tomo da 900 pagine (quando mai avrò il tempo di leggerlo?), ho scoperto che in libreria ho qualcosa di suo dato che in Italia è pubblicato da Bompiani e da Minimum Fax . 
Il libro che ho letto, La più lucente corona d'angeli in cielo, è del 1995 e non è un vero e proprio romanzo e nemmeno un racconto: sono tre racconti accomunati dal titolo, dalla voce narrante, dal luogo e dal periodo dell'azione.
Siamo a New York, anzi in una particolare zona di New York, fra Times Square e l'Upper East Side. Il periodo è metà anni '80 del secolo scorso, quando l'HIV era già comparso ma non aveva ancora cambiato le abitudine sessuali e l'uso della stessa siringa per bucarsi era ancora la prassi. I tre racconti sono le storie di tre persone, che non si conoscono, che si incrociano in questo spicchio di città, le storie del percorso verso la loro fine, verso la caduta nell'eroina. 
Non sono racconti per tutti i lettori, l'ambientazione è molto forte e può essere di disturbo perchè racconta la scena a New York in quel periodo: i locali nella zona degli ex-macelli, il Meatpack District, avevano molto in comune con la precedente attività: "Il macellaio e la sua vittima non erano poi così diversi dal tizio del Rudere che aveva lasciato a casa l'ennesima bolletta non pagata o un assegno di disoccupazione o un matrimonio infelice o perfino una doppia prenotazione a cena al Four Season o al Café des Artistes per poter aprire la bocca e placare la sua sete con i liquidi corporei di un altro uomo."
Eppure non c'è nulla di morboso o gratuito nel racconto di Moody e questo lo riesce ad ottenere, oltre che con una scrittura molto attenta all'uso delle parole, con uno stratagemma: chi racconta le storie di questi tre personaggi, non è direttamente l'autore ma una quarta persona, che conosce i tre e di cui raccoglie le confidenze, dirette o indirette. 
Questo ha due effetti principali sul racconto: sembra di ascoltare un amico al bar che ti racconta la storia di una terza persona, crea quindi uno stacco, una separazione fra il lettore e i protagonisti, indispensabile, a mio parere, per poter leggere le loro storie.
Il secondo effetto è più sottile: questa persona che racconta le vicende dei tre protagonisti conosce solo una parte di quello che è successo, conosce solo le confidenze che gli sono state fatte, sa alcune cose perchè anche lui vive nella stessa zona, ma non potrà mai conoscere fino in fondo quello che passa per la testa dei tre protagonisti. Con questa persona messa a raccontare, Moody ci costringe, come nella realtà, a vedere le azioni degli altri, ad ascoltare le loro parole ma non ci fa vedere all'interno della loro testa. E questo è importante perchè l'opera di Moody non è giustificare o spiegare ("la spiegazione di qualunque tipo di trasgressione inevitabilmente si metastatizza in giustificazione" , vedi Wallace in Dire mai ) ma semplicemente descrivere quello che succede a tre persone che, da una vita problematica in una città difficile come New York, arrivano alla tossicodipendenza: "Vide la fine e scoprì che c'erano un'infinità di altri fini possibili nel calderone della sua città." Non ci sono ragioni di ordine sociologico, non è colpa dei genitori, non è la sfiga: per questo i racconti colpiscono, perchè leggendo comprendi che quello che ti separa da loro, dalle loro storie sono un mucchio di cose, sei completamente diverso ma potrebbe succedere anche a te, anche tu potresti lasciarti andare, lasciarti cadere in una dipendenza: nella New York di quegli anni, dipendenza significava eroina. "Di fatto non si trattò di una scelta. Se non della scelta di non scegliere. Si trattò di rilassarsi, di accettare e basta. Di cedere. Lasciar andare."
E' molto bravo Moody a rendere la facilità con cui le cose, ogni tanto, vanno male e non c'è più verso di farle cambiare direzione:
"Lei era un cervello sotto vetro. Le stava provando tutte per sbarazzarsi del suo corpo; lo stava mettendo in una cella frigorifera; lo stava mettendo fuori uso.
Lui tornava a casa dal lavoro e giocava a marito e moglie con lei, sperando che lei reagisse, che tornassero a divertirsi come ai vecchi tempi. Poco tempo dopo la sua azienda fallì, e questo rese tutto ancora più facile."
Il libro finisce con alcune pagine di Tommaso Pincio, con una sua confessione che merita di essere letta: un altro autore che stimo come scrittore e che questa sua postfazione mi fa stimare come persona.

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