Nottetempo inaugura la collana di nuovi
autori italiani con Laura Fidaleo. Si tratta di una raccolta di racconti al cui interno mi ha colpito molto il secondo racconto, “Io vomito”.
Da un po'di tempo i rapporti con il
cibo vengono narrati molto.
Qui si racconta di bulimia. Mi soffermo, come la protagonista, sul come: dal punto di vista pratico. Mi sono venuti in mente tre aggettivi, per quel come, dopo averlo letto, impreparata ed immobile sulla sedia. Quotidiano, autoptico, esatto. Mi è venuto da pensare: IL come.
Forse il perché non c'è. Mica
detto che ci sia sempre. Il come invece sì. Con lo spazzolino da
denti. All'inizio non avevo il coraggio di farlo con le mani.
Non succede solo quando sono triste,
ma anche quando sono felice. Serve per spingerla da qualche parte
questa felicità .
Il water prima non mi piaceva, era
troppo lontano dalla bocca. Per quanto mi mettessi bene ad angolo e
allargassi le gambe, sporcavo tutto, la ceramica, le mattonelle e il
pavimento chiaro. Poi, come un uomo, ho imparato a prendere la mira.
Adesso non mi serve più nemmeno alzare la tavoletta. Vomito precisa,
senza tossire.
Lo preferisco al lavello perché
sopra al lavello c'è lo specchio, così non mi spavento a vedere i
capillari scoppiare intorno agli occhi. Mi faccio tutta blu per lo
sforzo e bianca per la pazzia.
Ho visto un documentario su una
donna cinese che partoriva da sola sopra un monte, per scelta. Le
somiglio molto in quei momenti. Io sto vestita però. Mi sbottono
solo la camicetta perché a volte resta qualcosa nella trachea e mi
sembra di soffocare. Quindi respiro col petto, scoppietta una vena e
fettuccine escono dal naso.
Non lo so perché mi chiudo dentro
quando vomito, probabilmente serve una serratura perfetta per lo
scatto di un'altra apertura. Non si possono spalancare troppe porte
insieme, entrano le mosche e i ladri.
Quando mangio da scoppiare, basta il
contatto dell'unghia sulle labbra e la mandibola entra in funzione da
sola, come un bacio. Allora sputo come un drago. La poltiglia è
tiepida, circa trentasei gradi, la temperatura corporea. Se non ho
bevuto abbastanza, i cibi più duri mi graffiano la gola, così
sembro sempre influenzata, gli occhi restano lucidi e ho un cerchio
alla testa.
Guardo nel water come guardo la
cacca. Spesso si ottura e ci devo infilare la mano per sbloccare il
flusso.
Sto imparando un sacco di trucchi.
So bene che è meglio preparare un
doppio strato di carta igienica a due centimetri dall'acqua, perché
la forza di gravità che fa affondare le cose che mangio non si sommi
alla violenza del tonfo. Un tuffo da atleta olimpionico.
Oppure apro una mano a metà del
percorso, così i cibi pesanti mi ricadono sul palmo. E io li lascio
saltare piano, come pesciolini senza più ossigeno.
Sto molto attenta. Non deve rimanere
niente dentro di me. Se ho mangiato i fagioli, lo yogurt, il
formaggio, le merendine, la panna, il gelato, le lasagne di ieri, i
wurstel e le mozzarelle, il pollo e le patate, devo ritrovare tutto.
Tra tutti adoro il tiramisù. È
quello che viene meglio, si fa crema marrone e mantiene inalterato
l'aroma del caffè.
No, il gusto non c'è. Non si sente
niente. Ho solo fretta. Molta. Presto dentro, presto fuori.
Per vomitare conta tantissimo
l'economia.
pagine 23>29
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courtesy by Sabina Rizzardi