Un paio di mesi fa guardo New York è una finestra senza tende di Paolo
Cognetti. Perché mi piace Cognetti e perché mi piacerebbe vivere a
NY. Ad accompagnare questa “guida” c’è un dvd Il lato
sbagliato del ponte, un documentario di Paolo Cognetti e Giorgio
Carella con John Lethem, Rick Moody, Colon Whitehead e Shelley
Jackson. Dopo aver scritto della propria NY, Cognetti si muove in
loro compagnia per la loro NY; il camminare di questi quattro
scrittori, tra i molti altri, che vivono a Brooklyn, di fronte a
Manhattan, mi piace. Lethem e Whitehead sono calmi, Moody un po’
meno e ha un accento pazzesco. Attira la mia attenzione l’unica
donna, Shelley Jackson, per come è, ha i capelli rosa e lo sguardo
che leverebbe l’argentatura da uno specchio e soprattutto
perché, nel documentario, sale: scale, recinzioni in posti che
potrei definire bordi. Allora, per il mio amore per i bordi, decido
di leggere il suo libro, una raccolta di tredici racconti – sono
contenta siano racconti perché li preferisco -
pubblicata in Italia nel 2004 da Minimum Fax.
Come dice il titolo si parla del corpo,
di parti del corpo, di prodotti e sottoprodotti del corpo, di
utensili del corpo e ogni racconto porta come titolo quella parte. In
testa al corteo c’è il cuore, un cuore nero, che sfila da solo (a
differenza di tutti gli altri che si offrono in gruppi; ci sono i
Collerici: Uovo, Spermatozoi, Feto; i Melanconici: Cancro, Nervo,
Dildo; i Flemmatici: Catarro, Capelli, Sonno; e i Sanguigni: Sangue,
Latte, Grasso).
Emanano una sorte di luce, ma è una luce all’incontrario che corre via dagli occhi di chi guarda per nascondersi alla vista, perciò quella luce, di cui ci piacerebbe tanto conoscere il colore (forse è un colore che non abbiamo mai visto, per il quale dovrebbero spuntarci nuovi occhi), assomiglia al buio più di qualunque buio normale, e sembra risucchiarci la vista dagli occhi e rendersi visibile sotto forma di un punto cieco.
Cuori neri, più pesanti del peso stesso. Troppo pesanti perché la realtà li possa sostenere, la bucano e ci sprofondano dentro, fino al sogno che le sta sotto.
Questo incipit mi colpisce. L’altro
giorno mi è stato detto di essere una presenza costante nella mente
della mia interlocutrice, MA, l’accezione, certamente tendente
all’ingombrante, come ben si intuisce, non è unicamente positiva.
È un po' quello che ho trovato in questi racconti. Ciò che viene
raccontato ha già una precisa connotazione nella testa di noi
lettori che, forse, ci immaginiamo la traiettoria del racconto.
Niente di così prevedibile perché arrivano i MA e i nuovi occhi di
Shelley Jackson. Quante facce può avere una medaglia? Due? Se queste
due facce si potessero vedere sullo stesso piano, dietro ce ne
sarebbero altre due e poi altre due e poi altre due e poi altre
ancora.
Quindi? Quindi c’è una città con le
mestruazioni, ci sono mandrie di spermatozoi che corrono nelle
pianure, esseri fatti solo di nervi. E catarro come pegno d’amore;
coloro che non ne producono o ne producono poco vanno incontro a seri
problemi, perché additati come diversi.
Sono una di quelle donne che deve sapere esattamente quali sono i suoi aspetti presentabili, in maniera tale da sfruttarli al meglio, dato che già non sono molti. Ho il naso adunco e quando ho detto che mi servirebbe un paio di baffi finti per rifare Chaplin non volevo dare ad intendere che di baffi veri non ne ho. O quanto meno ne avrei, se non fosse per certi servizi a cui mi dà diritto il mio posto di lavoro ben retribuito. Nonostante questo c’è chi mi ha definita una donna di bell’aspetto, con gli occhi neri e scoppiettanti. Quell’espressione non mi è mai piaciuta. Di bell’aspetto mi fa pensare che io abbia un seno magnifico e dei bei capelli, ma un mento grosso così. In verità non ho nessuna di queste cose, e che degli occhi scoppiettino mi pare una faccenda indecente con cui non voglio avere niente a che fare. Oltretutto, i miei sono nocciola. Ma che vi devo dire. Ricevere un complimento fa sempre piacere.
Ad ogni modo, io so usare quel poco che ho, la pancia piatta e il petto ancora più piatto, le gambe un tantino arcuate ma robuste e agili. Produco catarro in abbondanza. Ho le mani svelte e uno sguardo che leverebbe l’argentatura da uno specchio. […]Mi piace l’opinione che hanno di me in ufficio. Mi chiedono consigli sulla plasmatura e sul flusso. Io racconto balle. Loro se le bevono.
Le mie colleghe credono che io abbia un ottimo rapporto col mio catarro. Non è vero. Sì, a letto me la cavo bene. [Vedi Appendice 1]. Produco la mia manciata, l’elettricista dà il suo contributo e poi, a forza di pigiare e dare pizzicotti, nostro malgrado (tutti e due siamo esemplari bruttini difficili) costruiamo qualcosa che non mi vergogno di tenere sulla mensola del caminetto.
courtesy by Sabina Rizzardi