David Albahari era uno scrittore a me sconosciuto. Alcuni suoi libri sono in catalogo Zandonai e neavevo preso una copia per titolo.
Poi una mia cliente ha comprato un libro di Albahari. Dopo due giorni è tornata a dirmi quanto era bello quel libro, la delicatezza della sua scrittura. Ne compra un altro. Racconto questa storia ad un altro cliente che a sua volta prende un altro titolo dello stesso autore. Il giorno dopo trovo su FB i suoi ringraziamenti per avergli fatto conoscere questo autore. Una specie di consiglio preterintenzionale, dato che di Albahari non avevo ancora letto una riga.
Fatto sta che ho dovuto riordinare delle copie per poter finalmente leggere un suo libro e ho iniziato da L'esca, sempre su consiglio, questa volta dell'editore.
Adesso che l'ho letto, questo libro lo consiglio con ardore a quelli che scrivono o vogliono scrivere racconti autobiografici (ho da poco letto un libro scritto da una persona che insegna scrittura autobiografica). Forse il libro di Albahari non rispetta le classiche regole di scrittura ma è un esempio originale di come far raccontare la storia di una persona tramite le parole scritte e dal modo in cui sono scritte, un esempio di come la struttura stessa del racconto fornisca significato al lettore. Ci sono tre personaggi: lo scrittore serbo che è fuggito in Canada dopo che era inziata la guerra nella ex Jugoslavia, sua madre, morta anni prima ma che ritorna al presente grazie a delle registrazioni della sua voce fatte dal figlio, e Donald, lo scrittore-amico canadese. Noi ascoltiamo con lo scrittore le registrazioni della voce della madre, ripercorriamo con lo scrittore la sua vita e il suo volontario esilio in Canada, leggiamo degli incontri fra lui e Donald, sempre nello stesso bar a bere birra e a discutere di scrittura, di Jugoslavia e di diverse visioni del mondo, nordamericani di qua e europei di là . E leggiamo i continui incisi dello scrittore, che ripete "se solo sapessi scrivere". Una giustificazione per poter scrivere come vuole, come può, senza seguire i consigli di Donald, senza seguire quello che si dovrebbe fare, ma facendo vivere al lettore in modo magistrale, tutto allo stesso tempo, i drammi della madre, i dubbi del figlio, la guerra mai sopita, l'esilio. Una narrazione che volutamente non separa, non mette in ordine cronologico, non distingue un prima e un dopo, non divide i luoghi (è reale e al contempo metaforica la scena di Donald e lo scrittore al bar in Canada che guardano la situazione della ex Jugoslavia su una cartina ormai non aggiornata dell'intera Europa) ma assembla tutto in una lunga confessione/racconto in prima persona.
Cos'altro dire di questo libro? Lascio la parola a Sandra Levis, quella mia cliente che per prima ha comprato da me un libro di Albahari:
"Come sai è un autore che ho scoperto per caso, solo grazie al
fatto che hai inserito la casa editrice Zandonai in libreria.
Di lui mi ha incuriosito il cognome e ho comprato "L'esca" a
scatola chiusa. Mi sono detta che era un libricino smilzo e
che, buona o meno, fosse stata la scrittura, l'avrei letto nel
tempo di un tragitto Giardini Biennale/Guglie. È successo che
l'ho letto in fretta perché non riuscivo a smettere e poi ho
dovuto rileggerlo e riaprire vecchie ferite ( espressione non
esatta, perché ci sono ferite che non si chiudono ). Oltre
all'empatia è la sua scrittura a catturarmi. Frasi che sembrano
innocue, descrizioni della quotidianità , come spostare una
sedia o sentire un passo dietro alla porta, bere una birra o il
fruscio del registratore e che, come crittografie, nascondono la
geografia della Storia, il destino di popoli. Lui, come ogni
altro ebreo, portatore di due destini."