PUPA di Loredana Lipperini con illustrazioni di Paolo d’Altan

Pupa è la mia prima Richiedente e io sarò la sua Nipote Sostituta. Fino a questo momento ero molto orgogliosa del mio incarico: i Sostituti rendono un grande servizio alla società, da quando la Legge Familiare del 2020 si è rivelata un fallimento, perché nessuno rispettava l’obbligo di visitare i vecchi almeno una volta alla settimana, nonostante la minaccia delle multe. Mia madre ha sempre detto che era una legge inumana, e che non avevamo un intero pomeriggio da sprecare, e io le davo ragione: eravamo troppo impegnati con il lavoro e lo studio, e la sera eravamo così stanchi che spesso non riuscivamo ad aspettare che la zuppa di vitamine si riscaldasse, e crollavamo addormentati sulle nostre sedie. Per fortuna, qualcuno ebbe l’idea dei Sostituti: ragazze e ragazzi fra i dieci e i quindici anni, che vengono pagati dai vecchi per passare ben tre pomeriggi a settimana con loro, come se fossero nipoti veri. Tutti sono stati contenti: i Richiedenti perché non sono più soli e noi giovani perché abbiamo un lavoro.
Viola e io abbiamo fatto domanda appena compiuti dieci anni, ma ce ne sono voluti tre prima di ottenere l’incarico. Non tutte sono fortunate come Federica, che è stata assunta in quinta elementare e oggi ha già cambiato due Richiedenti, ha guadagnato bene e fra poco potrà smettere e aprire un negozio di dolci. L’insegnante di Consumo, che ci spiega quali sono i lavori adatti alla società, dice che è una buona idea: perché da quando è diventato possibile commissionare torte a forma di se stessi – proprio uguali a chi le compra! – tutti vogliono assaggiarsi e scoprire di avere un buon sapore di cioccolato o di vaniglia. Poi, però, bisogna fare ginnastica perché essere grassi non è professionale, quindi l’altra buona idea è aprire una palestra, che è quello che vuole fare Viola con i soldi che incasserà come Nipote Sostituta.
Io non so ancora cosa farò con il mio stipendio. Quando ero molto piccola mi piaceva la musica: mia madre dice che fingevo di suonare il pianoforte sul tavolo della colazione quando squillava il telefono, perché la suoneria era, mi aveva spiegato, una sonata di Mozart. Io lo ricordo appena, così come ricordo appena il cappellino color ciliegia: so che il telefonino e il cappello erano regali di nonna, di cui, invece, non ho ricordi, e al Corso mi hanno spiegato che questo è al tempo stesso un bene e un male. Un male, perché un po’ di esperienza mi sarebbe stata utile con i Richiedenti. Un bene, perché ai datori di lavoro non bisogna affezionarsi. Non è professionale. Anche suonare il pianoforte non è ritenuto professionale, quindi dovrò trovare qualcos’altro.

Eccoci diventare Adele, la protagonista tredicenne del racconto, in mezzo a ruoli, ruoli, ruoli, gestione millimetrica del tempo e delle emozioni, nipoti in affitto, genitori?, e stereotipi grigi, arrivati a un livello tale da determinare tutta l'esistenza; il mondo scritto e illustrato nel quaderno è quello che potrebbe aspettarci tra qualche anno e che raccoglie già molti sostenitori.

Uno quando è piccolo pensa che gli adulti siano misteriosi e potenti. Uno quando è giovane pensa che i vecchi siano brutti e tristi. Uno quando è adulto pensa che i bambini siano un po’ scemi. Un po’ nani. Tutti ancora da domare, come cavallini bizzarri. Uno quando è bambino pensa che la
vita sia meglio corta, perché quando diventa lunga si sciupa. Uno quando è adolescente pensa che chi non lo è più sia una palla mortale. Uno quando è vecchio pensa che chi è giovane abbia una fortuna spudorata, un tesoretto di anni da spendere. Non sappiamo mai come sono gli altri. Non sappiamo come sono le altre età, anche se le abbiamo vissute (noi vecchi, o quasi vecchi, o certo non nuovi). Figuriamoci se non le abbiamo ancora vissute. Come i giovani, come i bambini. Poiché dimentichiamo quello che abbiamo già vissuto e non conosciamo quello che non abbiamo ancora vissuto, ci nutriamo di stereotipi. Di caricature. […] I “sentito dire” sull'età sono una corazza micidiale. Strozzano la vita. (dal'introduzione di Lidia Ravera)

E poi arriva Pupa, che nome sfavillante come i suoi capelli rossi, la casa e gli abiti colorati, le mille attività, il suo acchiappanuvole, il Jinn, e con le storie, a dirci che il mondo non è inquadrato come ce lo raccontano e che è ora di cambiare storia.
[…] mentre Pupa raccontava mi sentivo calda e contenta, come se fossi nel mio letto di bambina prima di addormentarmi, con mia madre che mi raccontava una fiaba seduta nella poltrona accanto. Mia madre non ha mai raccontato fiabe, perché non è previsto che i genitori lo facciano: ci sono sistemi più efficaci, come i visori che proiettano i film sul soffitto. Ma le storie di Pupa erano più belle dei film.

Mi rendo conto che fino a ora, per mia somma fortuna, di Pupa ne ho conosciuta più d’una. Nonostante una certa naturale tendenza a guardarmi lungamente allo specchio, prima di loro – facciamo che esiste la schiera delle Pupe? - io certe cose non le immaginavo. Le ho incontrate lontano da casa, la casa che conoscevo, indifesa, arrabbiata, scoraggiata come davanti a un puzzle di centomila pezzi. Una di loro, di solito hanno un particolare smagliante che le caratterizza, penso di averla incrociata per strada l’altro giorno ma, non indossando io gli occhiali, me ne sono accorta all’improvviso e non mi sono fermata! Le Pupe sono esseri straordinari, senza di cui una parte di noi stessi si addormenta profondamente. Le Pupe accolgono dicendo lascia perdere quello che ti hanno insegnato. A quel punto l’unica cosa da fare è mandare giù grosso e andare loro incontro. Peccato solo che vadano e vengano, però mentre rimangono ci mostrano l'importanza di farci domande, guardare con i nostri occhi, e, che incantevole respiro, la Pienezza.

Pupa [...] È nonna di se stessa e figlia e sorella. È anche il suo proprio marito e padre e nipote. Pesca dentro di sé l’età che le serve con la pazienza del pescatore. E, come tutti i pescatori interiori, racconta storie.

Dunque, promemoria: ogni volta che qualcuno dice “è così che va il mondo”, sorridere, col sorriso più luminoso che si può, infuocato come i capelli rossi di Pupa e come il Jinn, e mandarlo a ...

cortesy by Sabina Rizzardi



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