Pupa è la mia prima Richiedente e io sarò la sua
Nipote Sostituta. Fino a questo momento ero molto orgogliosa del mio
incarico: i Sostituti rendono un grande servizio alla società, da
quando la Legge Familiare del 2020 si è rivelata un fallimento,
perché nessuno rispettava l’obbligo di visitare i vecchi almeno
una volta alla settimana, nonostante la minaccia delle multe. Mia
madre ha sempre detto che era una legge inumana, e che non avevamo un
intero pomeriggio da sprecare, e io le davo ragione: eravamo troppo
impegnati con il lavoro e lo studio, e la sera eravamo così stanchi
che spesso non riuscivamo ad aspettare che la zuppa di vitamine si
riscaldasse, e crollavamo addormentati sulle nostre sedie. Per
fortuna, qualcuno ebbe l’idea dei Sostituti: ragazze e ragazzi fra
i dieci e i quindici anni, che vengono pagati dai vecchi per passare
ben tre pomeriggi a settimana con loro, come se fossero nipoti veri.
Tutti sono stati contenti: i Richiedenti perché non sono più soli e
noi giovani perché abbiamo un lavoro.
Viola e io abbiamo fatto domanda appena
compiuti dieci anni, ma ce ne sono voluti tre prima di ottenere
l’incarico. Non tutte sono fortunate come Federica, che è stata
assunta in quinta elementare e oggi ha già cambiato due Richiedenti,
ha guadagnato bene e fra poco potrà smettere e aprire un negozio di
dolci. L’insegnante di Consumo, che ci spiega quali sono i lavori
adatti alla società, dice che è una buona idea: perché da quando è
diventato possibile commissionare torte a forma di se stessi –
proprio uguali a chi le compra! – tutti vogliono assaggiarsi e
scoprire di avere un buon sapore di cioccolato o di vaniglia. Poi,
però, bisogna fare ginnastica perché essere grassi non è
professionale, quindi l’altra buona idea è aprire una palestra,
che è quello che vuole fare Viola con i soldi che incasserà come
Nipote Sostituta.
Io non so ancora cosa farò con il mio
stipendio. Quando ero molto piccola mi piaceva la musica: mia madre
dice che fingevo di suonare il pianoforte sul tavolo della colazione
quando squillava il telefono, perché la suoneria era, mi aveva
spiegato, una sonata di Mozart. Io lo ricordo appena, così come
ricordo appena il cappellino color ciliegia: so che il telefonino e
il cappello erano regali di nonna, di cui, invece, non ho ricordi, e
al Corso mi hanno spiegato che questo è al tempo stesso un bene e un
male. Un male, perché un po’ di esperienza mi sarebbe stata utile
con i Richiedenti. Un bene, perché ai datori di lavoro non bisogna
affezionarsi. Non è professionale. Anche suonare il pianoforte non è
ritenuto professionale, quindi dovrò trovare qualcos’altro.
Eccoci diventare Adele,
la protagonista tredicenne del racconto, in mezzo a ruoli, ruoli,
ruoli, gestione millimetrica del tempo e delle emozioni, nipoti in
affitto, genitori?, e stereotipi grigi, arrivati a un livello tale da
determinare tutta l'esistenza; il mondo scritto e illustrato nel
quaderno è quello che potrebbe aspettarci tra qualche anno e che
raccoglie già molti sostenitori.
Uno quando è
piccolo pensa che gli adulti siano misteriosi e potenti. Uno quando è
giovane pensa che i vecchi siano brutti e tristi. Uno quando è
adulto pensa che i bambini siano un po’ scemi. Un po’ nani. Tutti
ancora da domare, come cavallini bizzarri. Uno quando è bambino
pensa che la
vita
sia meglio corta, perché quando diventa lunga si sciupa. Uno quando
è adolescente pensa che chi non lo è più sia una palla mortale.
Uno quando è vecchio pensa che chi è giovane abbia una fortuna
spudorata, un tesoretto di anni da spendere. Non sappiamo mai come
sono gli altri. Non sappiamo come sono le altre età, anche se le
abbiamo vissute (noi vecchi, o quasi vecchi, o certo non nuovi).
Figuriamoci se non le abbiamo ancora vissute. Come i giovani, come i
bambini. Poiché dimentichiamo quello che abbiamo già vissuto e non
conosciamo quello che non abbiamo ancora vissuto, ci nutriamo di
stereotipi. Di caricature. […] I “sentito dire” sull'età sono
una corazza micidiale. Strozzano la vita. (dal'introduzione di Lidia Ravera)
E
poi arriva Pupa, che nome sfavillante come i suoi capelli rossi, la
casa e gli abiti colorati, le mille attività, il suo
acchiappanuvole, il Jinn, e con le storie, a dirci che il mondo non è
inquadrato come ce lo raccontano e che è ora di cambiare storia.
[…]
mentre Pupa raccontava mi sentivo calda e contenta, come se fossi nel
mio letto di bambina prima di addormentarmi, con mia madre che mi
raccontava una fiaba seduta nella poltrona accanto. Mia madre non ha
mai raccontato fiabe, perché non è previsto che i genitori lo
facciano: ci sono sistemi più efficaci, come i visori che proiettano
i film sul soffitto. Ma le storie di Pupa erano più belle dei film.
Mi rendo conto
che fino a ora, per mia somma fortuna, di Pupa ne ho conosciuta più
d’una. Nonostante una certa naturale tendenza a guardarmi
lungamente allo specchio, prima di loro – facciamo che esiste la
schiera delle Pupe? - io certe cose non le immaginavo. Le
ho incontrate lontano da casa, la casa che conoscevo, indifesa,
arrabbiata, scoraggiata come davanti a un puzzle di centomila pezzi.
Una di loro, di solito hanno un particolare smagliante che le
caratterizza, penso di averla incrociata per strada l’altro giorno
ma, non indossando io gli occhiali, me ne sono accorta all’improvviso
e non mi sono fermata! Le Pupe sono esseri straordinari, senza di cui
una parte di noi stessi si addormenta profondamente. Le Pupe
accolgono dicendo lascia perdere quello che ti hanno
insegnato. A quel punto l’unica
cosa da fare è mandare giù grosso e andare loro incontro. Peccato
solo che vadano e vengano, però mentre rimangono ci mostrano
l'importanza di farci domande, guardare con i nostri occhi, e, che
incantevole respiro, la Pienezza.
Pupa [...] È nonna di se stessa e figlia e
sorella. È anche il suo proprio marito e padre e nipote. Pesca
dentro di sé l’età che le serve con la pazienza del pescatore. E,
come tutti i pescatori interiori, racconta storie.
Dunque, promemoria:
ogni volta che qualcuno dice “è così che va il mondo”,
sorridere, col sorriso più luminoso che si può, infuocato come i
capelli rossi di Pupa e come il Jinn, e mandarlo a ...
cortesy by Sabina Rizzardi