[…]
una scultura romana bizzarra, come di cerchi contro cerchi. Leggo:
lotta di animali. Mi ricordano i felini di Delacroix, quella sua
Africa appena scoperta e le sue tigri a molleggiarsi stanche...
Eppure non sono tigri, sembrano più dei lupi o dei draghi cinesi con
le zampe da cane e le dita da E.T. Si azzannano in un perfetto
cerchio, e la portasanta gli dipinge addosso, nell'involontario giro
del marmo, come delle ramificazioni di vene sui dorsi. La coda
dell'animale in basso abbraccia il collo dell'altra fiera, fino a
ridiscendergli sulla colonna vertebrale. Ho un fremito nel guardarli,
ricordo.
“Francesca?
Tutto a posto?” mi chiede nelle orecchie Riccardo. Sì, tutto a
posto. È solo che, vedi, le corde che mio padre le allacciava al
collo... ecco, come questa corda, anche quelle ricadevano sulla
schiena, dividendola a metà.
E tra
corda e coda c'è solo una r a dividerle, a dividerci.
È il
linguaggio e la sua linguistica il male più sconvolgente.
Dunque.
Questo romanzo l'ho letto alcuni mesi fa, ma solo ora ne scrivo. Ci sono alcuni libri che ho il timore di sminuire, raccontandoli in modo ingiusto, perché un salto nel territorio del diavolo lo fanno davvero. Di solito sono scritture il cui immaginario è, per me, così sovrastante da necessitare di un po' di decantazione. Questa storia ce la racconta, sin da bambina, Francesca.
Ricordare la mia infanzia vuol dire ricordare la storia dei mostri e delle loro risate. Esistono sulla terra vari mostri, alcuni è possibile vederli tutti i giorni in fila alla cassa del Carrefour o in fila alla posta, o in fila al bancomat, o in fila per entrare a vedere La dolce vita. Quei mostri stanno, in effetti, perennemente in fila e, anche da morti, vengono messi in fila, e pure per entrare all'inferno si devono mettere in fila, a volte pure per fare sesso si mettono in fila. Passano la loro esistenza così, e gli sembra normale. Infinite fila di processionarie che legano gli alberi.
Questo romanzo l'ho letto alcuni mesi fa, ma solo ora ne scrivo. Ci sono alcuni libri che ho il timore di sminuire, raccontandoli in modo ingiusto, perché un salto nel territorio del diavolo lo fanno davvero. Di solito sono scritture il cui immaginario è, per me, così sovrastante da necessitare di un po' di decantazione. Questa storia ce la racconta, sin da bambina, Francesca.
Ricordare la mia infanzia vuol dire ricordare la storia dei mostri e delle loro risate. Esistono sulla terra vari mostri, alcuni è possibile vederli tutti i giorni in fila alla cassa del Carrefour o in fila alla posta, o in fila al bancomat, o in fila per entrare a vedere La dolce vita. Quei mostri stanno, in effetti, perennemente in fila e, anche da morti, vengono messi in fila, e pure per entrare all'inferno si devono mettere in fila, a volte pure per fare sesso si mettono in fila. Passano la loro esistenza così, e gli sembra normale. Infinite fila di processionarie che legano gli alberi.
Questo
tipo di mostri deriva da altre creature, mostri più piccoli,
arancioni. Non si mostrano mai. A me si sono rivelati sul letto della
mia camera di bambina. […]
Non
dormivo, quindi, e mi apparve quel mostro. Apparve sul bordo più
estremo del letto, e per prima cosa si mise a saltellare. […] e
mostrò, aprendo la bocca, certi dentini insanguinati, bellissimi, e
tra noi si sparse la musica di Pan. […] Tornò ogni notte.
Il
mostro di Francesca è la routine dei genitori, con cui, da bambina,
si trova a fare i conti. In risposta arriva un altro mostro, un
casino pazzesco in una testa piccola, dentro cui cadono i paletti
della vita borghese, stabiliti da una famiglia come tante altre, in
cui (non so se dire) regna il padre psicologo. Un re si ama e si
odia. Non lo so se ci sono vittime in questa storia, sicuramente c'è
tutta la labilità (e l'abilità) del confine. Dolore, piacere,
realtà, immaginazione, dipendenza, riabilitazione, genitori, figli.
È sul confine che abitano i mostri che ridono?
La
prima volta che vidi la frusta era quasi Natale. Mancavano solo sei
giorni alla Vigilia. Io avevo nove o forse tredici anni e non ce la
facevo più ad aspettare, volevo i miei regali. O per lo meno
vederli, per stemperare la sorpresa.
Francesca
cresce con il suo mostro e, via via, ne trova altri a tenerle
compagnia. Sul suo confine ci saranno diversi uomini ma, in realtà,
ce ne sono solo e sempre due, il padre psicologo e Guido, il mio
compagno, che muore e con cui ha una storia d'amore e d'eroina,
al riparo dalla vita borghese. Tre con il mostro dai dentini
affilati.
Io lo
guardo e
non
lo guardo. Noi ci siamo e
non
ci siamo.
Noi
ci prendiamo
ma
non ci prendiamo mai.
Anche
i suoi uomini fanno ciò che possono per fare i conti con il confine.
Tra
loro ci sono Riccardo e Arturo.
Riccardo,
uomo d'affari, con la cravatta e la madre.
Poi
mi parla di sua madre, cambia voce e diventa parte integrante della
ricostruzione, mi dice: “Mia madre è vecchia, ma nessuno può
sopportarla. Lei mi dice: 'Riccardo, ricorda chi ti ha insegnato a
parlare'. Io le dico allora che sì, me lo ha insegnato lei, ma che
io ho imparato. [...]”. Arturo
ha tagliato fuori il mondo e non esce mai dalla propria stanza, tutto
gli viene recapitato tramite fattorini. La relazione con Francesca
avviene attraverso i messaggi scritti della chat di skype.
Arturo
non mi scrive più. Da sotto la scrivania, da quell'anfratto che io
non vedo, tira fuori una delle sue bambole. Ha la bocca aperta a o e
persino i capelli.
[…]
È gonfiate bene.
Papà
che fallisci nel gonfiare il mappamondo [è
un ricordo d'infanzia] ma come hai fatto presto a gonfiare
queste tette.
Tra
i suoi uomini sul confine c'è anche Paolo, il marito. Ecco che si
palesa un altro mostro, la vita borghese con cui Paolo la “salva”
dall'eroina dopo Guido, a suon di smalto, anche per unghie, cibo e
femminilità. Guido dolce compagno, ecco la fine borghese
com'è triste. È un po' come
giocare a Indovina chi, tiri giù tutte le finestrelle e il mostro
con i dentini è lì, ancora, che ride.
narrativa.it
è la collana di Nottetempo, a cura di Chiara Valerio, dedicata a
scrittori esordienti italiani, non necessariamente giovani. Tra i
titoli, finora scelti e pubblicati, c'è La risata dei mostri.
courtesy by Sabina Rizzardi