Non è un romanzo, non è un'opera di fantasia. E' la storia di una famiglia vera. La storia di un uomo che nasce nel 1899, cresce nella Francia rurale, fa il contadino poi l'operaio, incontra e si sposa una donna, diventano padre e madre, e la storia della loro bambina che crescerà e scriverà questa storia.
In una prosa, volutamente, dichiaratamente, forzatamente piana.
Nessuna gioia di scrivere, in questa impresa in cui mi attengo più che posso a parole e frasi sentite davvero.
Una storia scritta come tentativo di fare i conti con il proprio passato.
Nell'arco di una generazione, dal padre alla figlia, tutto cambia: il padre ha sempre lavorato, lavori manuali, poca ambizione. La figlia non lavora, studia, diventa professoressa, frequenta ambienti piccolo borghesi, fa il salto di classe. Vive il disagio di frequentare un mondo provenendo da un altro, vive il disagio di sentirsi diversa dai propri genitori.
Una storia che può essere comune a molti: persone dell'età della scrittrice (nata nel 1940), persone più giovani (in molte cose mi ritrovo), persone che lo stanno vivendo ora in altre parti del mondo.
Non sapevamo parlarci tra di noi senza brontolare. La gentilezza dei toni era riservata agli estranei. Un'abitudine talmente radicata che in presenza di qualcun altro, mio padre, che pur faceva ben attenzione a esprimersi come si deve, se doveva impedire a me di salire su un mucchietto di sassi mi si rivolgeva con un tono brusco, recuperando accento e invettive normanne, vanificando così la buona impressione che si sgorzava di dare.
Non aveva imparato a sgridarmi in maniera garbata, e io non avrei creduto alla minaccia di una sberla proferita in forma corretta.
L'autrice si dà come obiettivo l'assenza di finzione, l'assenza di letterarietà ed ecco che ottiene l'effetto opposto: racconta una storia dove, per necessità, ci sono tanti vuori quanti pieni, ci sono i ricordi riportati fedelmente e i silenzi, le cose non dette perchè non sapute, gli spazi vuoti, lasciati vuoti, che sono propri di ogni figlio nella conoscenza della storia del proprio genitore. E questa alternanza di pieni e di vuoti, di parole e di silenzi, in cui il lettore può, se vuole, riempire con le proprie parole e con i propri silenzi, questa è la forza più grande de "Il posto".