A PESCA NELLE POZZE PIÙ PROFONDE. Meditazioni sull'arte di scrivere racconti, di Paolo Cognetti


Il racconto, diceva Grace Paley, è un punto di domanda. Il romanzo ha l'ambizione di rispondere, di contenere tutto - se non proprio tutto il mondo almeno tutto un mondo - costruendo per noi una casa in cui abitare: alla fine chiuderemo la porta su un luogo che ci ha accolti per un po' di tempo, e che conosciamo bene. Il racconto è piuttosto una finestra sulla casa di qualcun altro (o come in una poesia di Carver,
«Chiudersi fuori e poi cercare di rientrare», è una finestra su casa nostra quando abbiamo dimenticato le chiavi). Da fuori possiamo solo indovinare che cosa c'è dentro, farci un'idea della vita di chi ci abita, riflettere su quante cose non sappiamo. Confessare che non ne sappiamo quasi niente: il racconto è insieme una resa (non provo neanche a scrivere questa storia per intero, perché sarebbe un fallimento) e una sfida (ma ne scrivo un pezzo: tu sei capace di immaginare il resto?).
Something glimpsed, qualcosa d'intravisto - ma anche, nel senso più antico del termine, qualcosa di illuminato solo per un istante - è una definizione che a Carver piaceva motlo. Come accendere e spegnere la luce in una stanza buia, o cogliere una scena da un treno in corsa. E poi, mentre il treno si allontana, restare lì a domandarsi: che cos'ho visto, che cos'era?

Quando Paolo Cognetti ritorna in libreria la felicità s'avverte palpabile. Primo perché scrive racconti e, tutti noi librai, amiamo i racconti; secondo perché conosce molto bene la letteratura americana, la sua maestra, e la sa raccontare, facendo in modo che il libro vada oltre le pagine e diventi una miniera in cui scavare, riportando in superficie via via continui nuovi desideri di lettura. Ecco allora che, illuminati, ci soffermiamo sulla profonda sensualità di quella mano posata su un'altra mano in un certo racconto, o sulla scelta di una determinata parola, rotonda come un mondo, a cui non avevamo dato abbastanza attenzione.

Dentro "A pesca nelle pozze più profonde" c'è il nostro scrittore e tutta la meraviglia che (si) prova di fronte alla vastità e al respiro della grande letteratura americana. Sfilano, davanti ai nostri avidi occhi, i maestri del racconto, Hawthorne, Poe, Anderson, Fitzgerald, Hemingway, Salinger, Cheever, le mitiche Signore O'Connor, Paley, Munro, e poi Carver, Dubus, Wallace, Orner, D'Ambrosio.

Scrivere (e leggere) è ascoltare e ascoltare È un atto di pazienza e generosità (infatti diciamo dare ascolto). È una particolare postura del corpo (ci mettiamo in ascolto). È faticoso e bisogna star bene per farlo, ecco perché i vecchi non ascoltano più, né ascoltano i sofferenti: il dolore ci assorda come un danno al timpano, la vecchiaia ci imprigiona nei nostri echi interiori. Ma la sordità davvero imperdonabile, secondo Grace Paley, è quella della superbia: «Quando pensate che l'unica cosa interessante siate voi stessi, siete noiosi», insegnava ai suoi allievi. «Quando l'unica cosa interessante che trovo è me stessa, sono noiosa e presuntuosa».
 

Grazie caro Paolo, per tutte le volte che non mi disinnamoro.


A pesca nelle pozze più profonde. 
Meditazioni sull'arte di scrivere racconti
di Paolo Cognetti
Minimum Fax
progetto grafico di Riccardo Falcinelli
copertina di Alessandro Gottardo
pagine 130, eur 13,00



INSTAGRAM FEED

@libreria.marcopolo