Forse sto invecchiando se mi metto a leggere libri che, come dichiarazione d'intenti, finiscono bene.
A mia discolpa posso dire che la storia raccontata in questo libro è la storia di uno sfigato a cui, però, va tutto bene.
Non so quanto questa storia sia autobiografica (da qualche parte ho letto che dovrebbe essere una specie di memoir) ma basterebbe fosse autentico anche solo questo dettaglio per rendermi simpatico l'autore come è diventato uno di famiglia il protagonista. Infatti il protagonista lo conosciamo bambino, cinquenne, muto come la madre, lei per un trauma e lui per "simpatia" con lei. La madre tutto il giorno scrive e anche per comunicare con il marito scrive su fogli di carta che il marito, una volta letti, mette via. E così per anni. Poi il bambino, tralascio le vicende, inizia a scrivere o, meglio, a ricopiare. E inizia a riempire taccuini. Questa mania, visio, piacere non lo abbandonerà più. E come si fa a conservare così tanta carta scritta?
In mezzo al vasto terreno oggi c'è una casa di legno di due piani a pianta circolare, eretta dopo la morte dei miei genitori, che trae luce solo dal tetto, in quanto priva di finestre. Invece delle finestre ci sono pareti continue, ricoperte da cima a fondo da cassetti di archiviazione. Lì dentro si trovano i mie taccuini e tutto il materiale su di me e sulla mia famiglia che colleziono da decenni.
Ecco come. Applausi da parte mia.
Poi la storia prosegue, sempre accidenti e incidenti che però portano a sviluppi positivi. Potrebbe essere la storia della nostra vita, se non fossimo troppo attaccati e affezionati ai nostri insuccessi?
Hanns-Josef Ortheil
Il suono della vita
Keller editore
traduzione Scilla Forti
eur 19,00