In realtà , chiunque sia
sopravvissuto alla propria infanzia possiede abbastanza informazioni
sulla vita per il resto dei propri giorni scrive Flannery
O’Connor “Nel territorio del diavolo”. Lei si riferisce alla
scrittura ma, leggendola immediatamente prima di “Una cosa piccola
che sta per esplodere”, non ho potuto fare a meno di legare stretta
la frase al libro di Paolo Cognetti.
I suoi adolescenti sono, infatti, dei
sopravvissuti e in un certo senso dei saggi. FIGLI giovanissimi sopravvissuti alle scelte dei genitori, dentro i
quali esplode qualcosa di enorme. Nell’ultimo anno ho scoperto
tanti libri con protagonisti adolescenti, fantastici per essere letti
anche da adolescenti, così ho sempre finito per passarli a mia
nipote. La vita accanto di Mariapia Veladiano, L’inconfondibile
tristezza della torta al limone di Aimee Bender, Harold di Einzlkind,
Il dono di Gabriel di Hanif Kureishi ed, ora, dopo Sofia si veste
sempre di nero, sempre di Paolo Cognetti, Una cosa piccola che sta
per esplodere. Libri che in più sono scritti bene.
Cognetti sceglie parole forti che si fermano a lungo in gola prima di essere deglutite per questi cinque racconti schietti e minuti che compongono il suo secondo libro. Forti come i mondi dell'anoressia, del maltrattamento,
dell'abbandono, della separazione: onde travolgenti vanno dai genitori ai figli
adolescenti e, quando si ritirano, lasciano tracce pesanti per far
fronte alle quali, spesso, bisogna trovare conforto altrove.
La copertina è dell’illustratore
Alessandro Gottardo. I suoi lavori si trovano facilmente digitandone
il nome in rete. Qui
(http://www.frizzifrizzi.it/2011/12/17/guida-intergalattica-per-giovani-illustratori/)
la sua “Guida intergalattica per giovani illustratori”.
Ecco alcuni estratti da ogni racconto:
Ecco alcuni estratti da ogni racconto:
Margot è anoressica.
È questo il loro inferno personale.
La cucina […] ingrediente essenziale per il processo di espulsione
che sta avendo luogo, in questo preciso momento, nella stanza da
bagno del primo piano: quattro pareti rivestite di piastrelle rosa e
centouno adesivi di dalmata, il bagno inaccessibile ai nostri
genitori, la stanza dei giochi e delle torture della loro figlia
scheletro.
«Le anoressiche sono bugiarde»
dice Margot, una settimana dopo. «Potrei dire salvatemi, voglio
guarire, voglio essere aiutata a diventare una persona migliore. Ma
il fatto è che a me questa malattia piace. Anche adesso che mangio,
adesso che accetto la terapia e tutto il resto, io so che me la
voglio tenere» […] «io penso che sia una questione di identità ,
un bisogno di dire: questa sono io, questi sono gli altri. E io sono
diversa da voi, lo capite?».
Quella notte, come molte altre
notti, Margot non dorme. […] esistono supereroi riluttanti,
nascosti nella folla durante il giorno, condannati di notte dai
propri poteri. Hanno i sensi acuminati dalla fame. […] Con i poteri
sente molto più in là . Raggiunge i singhiozzi di una paziente
giovane nel dormitorio accanto. Mette a fuoco la radio nella stanza
delle sorveglianti. Ascolta la cascata sopra la clinica e tarli che
consumano le travi del tetto.
«C’è un brano che ho imparato a memoria. Scriva anche quello sul suo taccuino. “Non avrai altro dio fuori di me. Non adorerai né immagini, perché io sono un dio geloso, e punirò i figli per le colpe dei padri fino alla terza e alla quarta generazione”».
«Stai parlando ancora di tua madre».
«Sempre», dice Margot. «Di voi,
delle vostre madri, delle loro prima ancora. Tre, quattro, mille
generazioni. Un esercito di madri cariche di colpe e un dio
infuriato. Aspettavate la sua vendetta? Eccomi qui, sono arrivata».
« È una bella notizia», dice la cuoca. «Mi sa che è il ciclo».
«Non è vero», dice Margot, ma non sono queste le parole che ha in testa. Le parole esatte sono: non è giusto. […] Quella notte le mestruazioni arrivano davvero. Margot le aspetta seduta a tavola, vestita e sveglia, in ascolto. Sta ascoltando i suoi poteri che svaniscono: le crepe smettono di aprirsi nel legno, l’acqua di scorrere lungo le tubature, i fili elettrici di vibrare nei muri. I suoni delle sue notti insonni si spengono uno alla volta come lampioni all’alba.
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Diego viene picchiato dal padre.
«Non avete fatto la pace?», chiede.
«Tu non hai mai visto mio padre ubriaco».
«Ha bevuto di nuovo?» […]
«Cristo», dice Simone. Preferirebbe non sentire il seguito. Sa come va avanti, e sa che ci sono solo due modi in cui può andare a finire. Oggi, almeno, non gli sembra di vedere lividi.
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Mina, la piccola cosa che sta per
esplodere, viene abbandonata dal padre ed inventa racconti su di lui,
spiegando ogni volta la sua partenza.
Al momento, Mina è affascinata dalle vite dei santi. Sta progettando una storia in cui suo padre è un uomo ricco, un mercante o forse un usuraio, che un giorno batte la testa e finisce in coma. […] Nessuno sa cosa succeda a suo padre tra la vita e la morte, ma quando si sveglia è un uomo nuovo: fa il giro di tutti i debitori, straccia le loro cambiali, regala i suoi soldi ai poveri e poi scompare. Mina adesso si chiede che tipo di santo diventi. L’eremita vestito di sacco oppure il predicatore, o il martire perseguitato, o il missionario deciso a costruire una chiesa nel deserto? E una volta partito, com’è che non si fa più sentire?
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Pietro, assistendo al crollo del
matrimonio dei suoi, ha bisogno di una guida che pensa di trovare in
Tito, il guardiano del campeggio in cui passa l’estate con la
madre.
Quelli erano i giorni in cui mi mancava mio padre.
«Ãˆ vero che hai un figlio?»
Tito […] si voltò verso di me.
«Ho un figlio più grande di te», disse. «Sedici anni».
«Perché non abiti con lui?»
«Perché sta con sua madre. Io e lei siamo separati da tanto tempo».
«L’hai lasciata per un’altra, oppure perché ti piace stare da solo?»
«Non mi piace così tanto come sembra».
«E non ti manca tuo figlio?».
«A te non manca tuo padre?», chiese Tito, e finalmente fu tutto chiaro. […] Eravamo un bambino di città e un uomo dei boschi, dodici e quarantasette anni, eppure esistevano dei problemi universali […]. Quel giorno successe qualcosa tra noi due. Non avevo mai avuto un maestro, non immaginavo nemmeno quanto fosse importante trovarne uno.
E ce n’erano di domande che avrei voluto fare […]. Che cosa c’era di tanto facile da capire, visto che tutti provavano a spiegarmelo e nessuno ci riusciva? Volevano dirmi qualcosa che non capivano neanche loro?
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Il ragazzo dell’ultimo racconto non
ha mai conosciuto la madre. La conosce attraverso le fotografie e i
racconti della nonna.
courtesy by Sabina Rizzardi