L'Ultima sposa di Palmira

Mi piace perchè ha lo stesso sapore di cent'anni di solitudine, con questa figura di Patriarca Maggiore che fonda Palmira, paesino che non compare nelle carte geografiche.
Mi piace perchè chi racconta la storia del paese è Mastro Gerusalemme, un falegname dalle molteplici doti, capace di raccontare sul legno o a parole, ma che davanti ad un telefono ammutolisce.
Mi piace perchè chi raccoglie queste voci, queste storie, la dottoressa Pettalunga, antropologa dei disastri, non manca mai di ricordarsi di suo padre con una tenerezza ed un affetto che fa bene a un cuore di padre.

Questo per i prime tre - quattro capitoli.

La storia inizia con il terremoto dell'Irpinia. La dottoressa Pettalunga, antropologa, arriva in questo paese, Palmira, sconvolto dal terremoto e incontra un falegname che, nonostante la distruzione e la morte intorno, continua a costruire il mobilio destinato a Rosa, l'ultima sposa di questo paese. E' il falegname che racconta la storia di Palmira, dalle origini a oggi e il romanzo si struttura in due piani, quello del racconto del passato di Palmira e quello del presente, a capitoli alternati.

La fantasia e la meraviglia dei primi capitoli lasciano ben presto lo spazio a una pesantezza ripetitiva: le figure raccontate rimangono sulla superficie, sono degli affreschi ben fatti e di sicuro impatto, ma manca la profondità. Nessun personaggio della stirpe fantastica di Patriarca Maggiore, nessun abitante di Palmira si stacca dal fondo, solo il falegname.


Mi mancano ancora due libri della cinquina del premio Campiello e uno so già che non lo leggerò: il libro di Federica Manzon ha un gran difetto, ha 435 pagine e aspetto che qualcuno mi giuri che è un capolavoro per dedicarci così tanto tempo.




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