Tokarczuk è una scrittrice polacca, ha già scritto diversi romanzi, alcuni tradotti in italiano (io non li conoscevo) e questo è del 2009 pubblicato quest'anno da Nottetempo.
La prima cosa che colpisce di questo libro è l'uso delle maiuscole: tutto il romanzo è raccontato in prima persona dalla protagonista, è un continuo io narrante e questo io sceglie quali parole vanno scritte con la maiuscola. Non è un uso conformista (Patria, Nazione) e nemmeno una regola grammaticale (tutti i sostantivi), è una scelta. Nelle prime tre-quattro pagine queste sono le parole che iniziano con lettera maiuscola (escluso le parole dopo il punto e i nomi propri o soprannomi): Notte, Disturbi, Utile, Sentimentale, Uomo, Tenebre, Cagna, Cerve, Fanciulle, Terrore. Cosa significa questo? Perchè la scrittrice, tramite la protagonista narrante, usa queste parole con la maiuscola e non altre? Tokarczuk è una scrittrice che bada alle parole, le sa usare e ne dichiara l'importanza nel libro, sempre tramite la protagonista che ha un modo tutto suo per chiamare le persone, non per nome ma assegnando a ciascuno un soprannome di significato:
Ma che mancanza di fantasia i nomi e i cognomi ufficiali... Non si tengono mai a mente, sono così banali e lontani dalla persona che non la ricordano in nulla. Per giunta, ogni generazione ha la sua moda e improvvisamente tutti si chiamano Malgorzata, Patryk oppure, Dio li perdoni, Janina. Per questo cerco di non usare mai nomi e cognomi, ma piuttosto definizioni che vengono in testa spontaneamente quando guardiamo qualcuno per la prima volta. Sono convinta che sia questo il modo più corretto di usare il linguaggio, e non spiattellare parole spogliate del loro significato.
E quindi, le maiuscole? Secondo me è un modo plastico per presentare la protagonista, per farci subito capire due cose: che è una persona particolare, o un po' stramba come la considera il resto degli abitanti del villaggio dove vive, ma soprattutto che è una persona con delle idee precise e radicate, non rigida ma convinta.
E quali sono queste sue idee? Eccone un esempio:
Ho sempre avuto la sensazione che i piedi siano la parte più intima e personale del nostro corpo, non i genitali, non il cuore, e nemmeno il cervello, organi di irrilevante importanza, eccessivamente sopravvalutati. E' nei piedi che si nasconde tutto il sapere dell'Uomo, è là che defluisce dal corpo il senso essenziale su chi siamo veramente e su come ci rapportiamo alla terra. Nel contatto con la terra, nella sua contiguità con il corpo sta tutto il suo segreto: siamo costruiti con gli elementi della materia e allo stesso tempo estranei, separati da lei. I piedi sono le nostre prese della corrente.
Questa signora, non più giovane, si chiama Janina ma non sopporta il suo nome e non sopporta di essere chiamata così. Vive in un villaggio isolato su un altipiano, in Polonia vicino al confine con la Cechia. In questo gruppo di case durante l'inverno sono solo in tre, lei, Bietolone e Piede Grande (sono i soprannomi da lei inventati), d'estate poi arrivano altri abitanti.
Il romanzo inizia che Piede Grande è morto, è inverno e solo lei e Bietolone sono al villaggio. Piede Grande era un bracconiere e muore soffocato con un osso di cerva che stava mangiando. La protagonista è l'unica del villaggio, forse della Polonia intera, ad essere contraria alla caccia, contraria all'uccisione degli animali: per lei uomini e animali sono sullo stesso piano, uccidere un animale, che sia per mangiare o per divertimento, da cacciatori in regola o da bracconieri, è sempre un assassinio. Lei cerca di contrastare la caccia e i cacciatori, pur con le limitazioni dell'esser sola, donna e vecchia. Quello che l'aiuta è l'Ira:
A volte, quando l'Uomo sperimenta l'Ira, tutto sembra ovvio e semplice. L'Ira riporta l'ordine, mostra il mondo in una sintesi adamantina, con l'Ira ritorna anche il dono della Chiarezza di Visione, difficile da riscontrare negli altri stati emozionali.
E' una donna che si fa portare dall'Ira quando incontra i cacciatori, quando trova un cinghiale ammazzato in un periodo di caccia vietata, quando un prete dal pulpito di una chiesa gremita di bambini tesse le lodi dei cacciatori e della loro pratica assassina.
Il romanzo, partito dalla morte di Piede il Grande in pieno inverno, continua a registrare altre morti strane e intanto i mesi passano, arriva la bella stagione e anche gli altri abitanti del villaggio. Nessuno, nemmeno la polizia, riesce a spiegare queste morti, l'unica con una teoria è la protagonista: sono gli Animali che si vendicano degli Uomini. Tutti i morti sono legati alla caccia e tutti hanno una colpa nei confronti degli animali e per questo gli animali li hanno uccisi. La sua certezza è poi sostenuta dalle stelle, perchè lei non legge gli oroscopi, lei li fa: è sempre alla ricerca della data di nascita (e di quella di morte) delle persone per poter leggere quello che era chiaro sin dall'inizio, se solo si fosse stati attenti a tutti i minimi segni o alle stelle.
Ma è una donna sola, vecchia e anche malata: A volte ho l'impressione di essere in realtà composta solo di sintomi della malattia, sono un modello anatomico costruito di dolore. Quando ho difficoltà a trovare un posto in cui stare, immagino di avere una cerniera sulla pancia, dal collo al perineo, e di aprirla lentamente, dall'alto in basso. E poi sfilo via le braccia dalle braccia, le gambe dalle gambe, ed estraggo la testa dalla testa. Fuoriesco dal mio corpo, e lui mi scivola giù come un vestito vecchio. Sono piccolina e delicata, quasi trasparente. Ho un corpo di Medusa, bianco, lattiginoso, fosforescente.
Solo quella fantasia è in grado di darmi sollievo. Oh sì, in quel momento sono libera.
Per fortuna intorno a lei andrà a formarsi una specie di famiglia che la aiuterà: Bietolone, il suo vicino silenzioso, dal passato ignoto e dalla casa ordinata e funzionale. Tokarczuk riesce a darle questa 'spalla' nella storia che riuscirà sempre a stupire sia lei che il lettore. Dyzio, un suo ex-allievo che la va a trovare per avere un aiuto nella traduzione di Blake dall'inglese al polacco. Blake è importante e di ispirazione: il titolo, così come gli esergo di ogni capitolo, sono tratti da opere del poeta inglese. E questa opera di traduzione fornisce all'autrice il pretesto per una delle frasi migliori che abbia mai letto sul lavoro del traduttore. Quando per una settimana Dyzio non può andare a trovarla, la protagonista scrive di lui: Meglio che se ne rimanesse nella camera oscura del suo intelletto a sviluppare le frasi polacche dai negativi inglesi. Infine c'è Buona Novella (un altro soprannome), commessa di un negozio di vestiti usati del paese vicino.
Tokarczuk riesce a darci un libro ben scritto, quasi un giallo, dei personaggi interessanti e reali pur nella loro estrema particolarità, e allo stesso tempo riesce a parlarci di un tema che evidentemente le importa molto, il rapporto fra esseri viventi, uomini e animali. Ad un certo punto la Scrittrice, che non è la protagonista ma una scrittrice che d'estate viene a vivere al villaggio, dice alla protagonista:
Sa, signora, a volte ho l'impressione che viviamo in un mondo che ci inventiamo noi. Stabiliamo che cosa è buono è che cosa non lo è, disegniamo le mappe dei significati... E poi per tutta la vita combattiamo contro tutto quello che abbiamo concepito. Il problema sta nel fatto che ciascuno ha la propria versione, e per questo gli uomini fanno fatica ad intendersi.
Ecco, quello che Tocarczuk cerca di fare con questo libro è di darci un'altra mappa di significati, una alternativa a quello di solito in uso e lo fa per mano di una protagonista tutt'altro che di moda o di facile immedesimazione per un lettore: donna anziana, sola, stramba, senza figli, senza legami, libera, che fa oroscopi. Tokarczuk non cerca facili simpatie (e lo si vede da come chiude la vicenda dei morti e il libro), forse anche lei è mossa dall'Ira.
Non dirò quale finale aspetta il lettore, concludo con questo passo, una delle ultime 'dichiarazioni' della protagonista che trovo particolarmente adatta per il nostro mondo e il nostro tempo: sta parlando di lei e della sua specie di famiglia.
Compresi che appartenevamo a quel genere di persone che il mondo considera inutili. Non facciamo nulla di essenziale, non produciamo nè pensieri importanti nè oggetti necessari, alimenti, non coltiviamo la terra, non stimoliamo nessuna economia. Non ci siamo particolarmente moltiplicati. [...] Finora non abbiamo dato nessun profitto al mondo. Non ci è mai venuto in mente di inventare qualcosa. Non abbiamo potere [...] Facciamo i nostri lavori, ma sono assolutamente insignificanti per tutti gli altri. Se venissimo a mancare, non cambierebbe proprio nulla. Non se ne accorgerebbe nessuno. [...]
Ma perchè dovremmo essere utili, e rispetto a chi? Chi ha diviso il mondo in inutile e utile, e con quale diritto? [...] Ma quale mente ha avuto la faccia tosta di giudicare chi è il migliore e chi peggiore? [...] Tutti conoscono i vantaggi dell'utile, ma nessuno conosce il profitto dell'inutile.
PS
Questo è un passo del libro che mi è piaciuto e l'ho ricopiato, non c'entra con la recensione ma perchè non condividerlo?
Avevo una mia Teoria a proposito di questi intercalari: Ogni Uomo ha una sua espressione di cui abusa. O di cui fa un uso improprio. Questa parola è la chiave per la sua mente. Il Signor "A quanto pare", il Signor "Generalmente", la Signora "Probabilmente", il Signor "Puttana", la Signora "Non è così?", il Signor "Per così dire". Il Presidente era il Signor "E' vero". [...] Non riuscivo a liberarmi dalla sensazione che chi abusa dell'espressione "è vero", menta.
Il mio intercalare è "Va bene?" , che debba smettere di preoccuparmi?