Gli uomini della sua vita di Mary McCarthy

                                                            
Gli uomini della sua vita, primo romanzo di Mary McCarthy, esce nel 1942. 
È un memoir, un’autobiografia travestita da romanzo in cui, sicuramente per educazione, i nomi vengono cambiati. Scorrendo anche brevemente i tratti biografici dell’autrice – tra i quali perdita della madre, assenza del padre, educazione cattolica asfissiante, giornalismo, dissidenza, una certa vivacità intellettuale ed amorosa - si deduce con facilità che è l’autrice stessa a recitare la parte della esuberante, inquieta, venticinquenne Margaret Sargent. Certamente, come scrive meglio la McCarthy stessa nella premessa, siamo davanti ad un caso di identità perduta: «Possibile che sia sempre la stessa persona?», ebbene, è questo il problema che l’autrice e la protagonista affrontano. Di fatto, la ricerca non ha conclusione: non si può decidere quale di queste personalità sia quella «reale»; il domicilio del proprio io, come quello dell’anima, non lo si può trovare nel libro.


Tutt'intorno e altrettanto vivace, a fare da specchio alla protagonista, c’è la New York degli anni Trenta con una miriade di finestre che si aprono su altrettanti frammenti di società. Ecco allora la città più vibrante di tutte: le palazzine di appartamenti modello, la demolizione dei quartieri poveri, la Città Giardino del Futuro, con strade diritte, molta aria pura e parchi per la cultura e il riposo; la New York di Roosevelt, Rockefeller, Van Wyck Brooks, Lewis Mumford, Trotsky, del socialismo, dei rapporti tra America e Russia, delle testate giornalistiche, degli intellettuali di sinistra, delle classi sociali.

Anche in questo romanzo, raccontato in terza persona, colpisce l'uso delle maiuscole – mi sono divertita a fantasticare che la Tokarczuk (Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, Nottetempo) ed io potessimo avere letture in comune. Annuncio, Amico, Apparizioni In Pubblico, La Situazione Era Insostenibile, Le Cose Non Potevano Più Continuare Così, Come L’Avrebbe Presa Suo Marito, Fuori Questione, Quello Che Avrebbe Detto La Gente, Donna Con Un Segreto.
Secondo me le parole scritte con la maiuscola sono come i mattoni di un muro da abbattere; ed il muro in questione potrebbe essere un codice comportamentale che va troppo stretto a Margaret.
«Sa qual è la mia citazione preferita?» […]. «È di Chaucer» […]. «Lo dice Criseide: “Io sono padrona di me, ben a mio agio”». Gli uomini se ne rendono conto: «Per Dio», disse, «lo è davvero, se è per questo!». E Margaret è conscia del proprio ascendente su di loro. Dopo aver lasciato il primo marito, durante il viaggio in treno che la porta alla casa paterna, incontra un uomo. Sembra quasi una missione la sua.
Anche quell’uomo doveva essere introdotto al mistero; quello sconosciuto doveva essere costretto ad aprirsi e schiudersi come un fiore acquatico giapponese. Con impeto messianico cominciò a fargli delle domande e, benché sulle prime le sue risposte rivelassero una specie di ostinata timidezza […], lei sapeva che presto o tardi le avrebbe detto la verità.
E ancora: lei gli aveva insegnato a conoscere se stesso; gli aveva mostrato la gabbia della sua natura. Ci si era adattato, ma non sarebbe mai riuscito a dimenticarla. Grazie a lei aveva perduto la sua primitiva innocenza, e l'avrebbe odiata per sempre, come Adamo odia Eva. 

Quello che mi sono più volte chiesta è se Margaret sia sempre e veramente a proprio agio con se stessa e con la sua New York degli anni Trenta. Il verme ama, non c’è dubbio, la rosa e il ruolo del pioniere non è mai facile. Chi la frequenta le attribuisce appellativi quali piantagrane, dragone trotskista, Eva, gatta furiosa (oggi i termini sarebbero un tantino più coloriti). La lotta interiore e l'ansia sociale sembrano non darle mai tregua, nonostante il divertimento e la forza con cui urta il mondo.
La Chiesa era in grado di classificarti tutto. Se parlavi o ridevi durante la messa, raccontavi bugie, avevi pensieri o facevi discorsi impuri, eri cattiva: se obbedivi ai genitori o ai tutori, andavi a confessarti e a fare la comunione regolarmente, dicevi le preghiere per i morti, eri buona. […] Ma quando, acerba ragazzina delle medie, aveva respinto il sistema di catalogazione della Chiesa e la moralità da analfabeta di sua zia, aveva rinunciato a dare un senso a se stessa. Per un po’ aveva creduto che bisognasse solo aspettare finché si cresceva e ci si formava il carattere, dopodiché lo si sarebbe riconosciuto facilmente, come in una fotografia. Ma adesso aveva ventiquattro anni e, a sentir gli altri, aveva una forte personalità, e tuttavia brancolava ancora nel buio.

Nel libro ci sono anche parole che tornano spesso e hanno a che fare con l’arte della recitazione: recitare, arte, palcoscenico, pubblico; il dubbio (e anche il divertimento) è anche tra essere e apparire.
I pranzi, i tè, le Apparizioni in Pubblico, stavano diventando un po’ monotoni. In fondo, non era sufficiente essere una Donna Con Un Segreto, se poi si appariva agli occhi degli amici come una donna senza segreti. […] Era un peccato, pensava, essere così sensibili all’opinione pubblica.[… ] Le confidenze già fatte alle amiche le sembravano sbiadite prove generali della suprema confidenza che stava per fare. […] Quella sarebbe stata la definitiva prova d’amore di suo marito […].

Raccontandoci, in alcuni flash, degli uomini che hanno segnato una parte della sua vita - padre, primo marito, primo amante, capufficio, uomo d’affari incontrato in treno, anfitrione, intellettuale di sinistra, secondo marito, psicanalista – Margaret ci parla di sé, delle sue inquietudini, del proprio concetto di amore e, alla fine della storia, un modo di salvarsi sembra esserci.
In fretta […] cominciò a parlare delle proprie faccende amorose. I nomi, accompagnati da rapide descrizioni, scorsero uno dietro l’altro fino a che tutta la sua vita le sembrò un romanzetto da edicola. E si scoprì tremendamente ansiosa di spiegargli perché tutte le volte la cosa non aveva dato frutti. [...]. Mai, pensava, quando vivi con un uomo, senti veramente la forza piena del suo amore. Esso ti viene gradualmente razionato in uno stato impuro, mescolato a tutti gli altri elementi dell’esistenza quotidiana, così che a malapena ti rendi conto di riceverne. Né si concentra in un solo punto; si estende al passato e al futuro, sino ad ad apparire come una pellicola impercettibile sulla superficie della tua vita. Soltanto di fronte al suo annientamento l’amore si poteva mostrare in tutta la sua pienezza, incasellandosi, una volta palesatosi, nella categoria delle esperienze perfette.
Nel flash finale, quello della seduta psicoanalitica, Margaret cerca di capirsi.
Nel suo caso, le apparenze erano certamente contro di lei. (Non voltarti adesso, ma quella non è la ragazza che ha combinato tutti quei guai qualche anno fa?)[...]. Eppure, in un certo senso, lei non era così. Si guardava il viso allo specchio e riconosceva nei propri tratti qualcosa di diretto, di franco, di sincero, l'impronta di una certa innocenza interiore che spingeva gli estranei a fidarsi di lei a prima vista [...]. 
In tanti possiamo riconoscerci in quello che è l'origine di tutte le nostre relazioni; il primo di tutti i rapporti, quello con le figure di riferimento, una madre morta, un padre lontano, una zia feroce producono i loro effetti, nonostante si dica che «tutto ciò» non abbia lasciato traccia. La vita romantica era stata troppo dura per lei. In morale come in politica l'anarchia non è per i deboli. [...] Eppure [...], pensò, continuando a camminare, riusciva ancora a smascherare i propri tranelli. Alla fine del sogno, i suoi occhi erano chiusi, ma l'occhio interiore rimaneva all'erta. [...]. «Oh mio Dio», disse, [...]. Se la carne deve essere cieca, fa' che lo spirito veda.


Io qui ho scritto poco perchè a dire tutto ci pensano autrice e protagonista. Ci parlano attraverso la loro voce ben distinta attraverso la scrittura - e qui mi viene in mente Raymond Carver - curata, onesta, realistica, fatta di parole giuste, comuni ma precise, concreta, economica, chiara, dettagliata, a volte minacciosa, senza lamenti nè spiegazioni. Ancora Carver:
Gli scrittori non possono fare autobiografia in senso stretto: verrebbe fuori il libro più noioso del mondo. Invece uno prende un po' qua e un po' là; in pratica è come una palla di neve che rotola giù da un pendio, raccogliendo tutto quel che incontra: cose che abbiamo sentito, cose a cui abbiamo assistito, cose che abbiamo vissuto in prima persona. Si attacca un pezzetto qui e uno lì, e poi se ne tira fuori un tutto unico che ha una certa coerenza.

courtesy by Sabina Rizzardi

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