Se penso ad un viaggio in bicicletta, non penso all'Africa. Se penso ad un viaggio in Africa, non mi viene in mente di andarci in bicicletta. Sono un po' come quei funzionari di ambasciata a cui i protagonisti di questo viaggio si sono rivolti per avere informazioni:
"Mi scusi, ha detto in bicicletta?"
"Sì, bicicletta" risposi.
"In bici???" ripetè più volte l'uomo.
In questo libro si parla di un viaggio speciale.
Ma non è una sfida, non è un viaggio fatto per dimostrare qualcosa, non è un'impresa fatta da atleti superallenati, esiste una meta ma non è importante.
Basta vedere il curriculum dei due autori del libro che sono i due avventurosi e temerari ciclisti del viaggio.
Marianita Palumbo è un'antropologa e documentarista, questo è il suo primo viaggio in bicicletta: si è semplicemente fidata del suo compagno di viaggio che le ha detto "Chiunque ce la può fare, il bello della bicicletta è che ti alleni andando".
Tobias Mohn, il ciclista esperto, studia ingegneria ambientale e ha fatto diversi viaggi in bici in giro per il mondo.
Questa coppia parte da Parigi in treno con il loro carico di bagagli e bici imballate e, arrivati a Siviglia, montano le bici e partono. Da quel momento il loro viaggio sarà in bici, due ciclisti, due biciclette, 5 mesi di viaggio e oltre 6000 kilometri attraverso Spagna, Marocco,
Sahara Occidentale, Mauritania, Senegal, Guinea, Mali e Burkina Faso.
Questo è un bel libro di viaggio perchè ti fa entrare, con una scrittura piacevole ma soprattutto con un atteggiamento sincero, nel viaggio dei due protagonisti.
Cerco di spiegarmi meglio dicendo quello che non è e non vuole essere: non è un libro di antropologia perchè si limita a descrivere, senza teorizzare, quello che i due incontrano nel cammino, che siano luoghi o persone, quello che cade sotto i loro occhi, fermi a riposare fra una tappa e l'altra, o in movimento sopra le bici.
Non è nemmeno una guida al percorso, la vice narrante è quella di Marianita, per lei è il primo viaggio in bicicletta e per lei all'inizio è un mistero come si possa trasformare l'ammasso di pezzi meccanici che hanno trasportato fino a Siviglia in una bicicletta. Dal punto di vista ciclistico, il racconto è quello di un amatore, non di un esperto: anche se poi l'amatore riuscirà a fare anche più di 200 km in un giorno (non ci credete? leggete il libro).
E' un libro dove si riflette sul senso del viaggio e sui modi di viaggiare: loro sono
in bicicletta ma non sono gli unici europei a viaggiare in Africa, ci
sono quelli in 4x4, ci sono quelli che arrivano in aereo per una veloce
vacanza.
Che strano luogo Chinguetti. Non eravamo mai stati
così in fondo al deserto prima. Noi ci avevamo messo più di due mesi ad
arrivare lì. La comitiva che ci passava accanto, invece, quella stessa
mattina aveva consumato il petit-dejeuner nel sud della Francia. Un volo
charter collegava quel pezzo di deserto con Marsiglia tre volte alla
settimana. Il sogno di ogni viaggiatore di estendere i confini della propria geografia, stimolare la percezione, e in fondo in fondo forse anche il desiderio inconfessato
di allargare le frontiere dell'umano, come se ancora ci fosse qualcosa
da scoprire per il coraggioso e l'audace in terre lontane, non importa
quanto innegabilmente naif questo potesse sembrare, si scontrava con la
constatazione che il posto raggiunto, dopo mesi di viaggio azzardoso,
era allo stesso tempo accessibile giornalmente ad un centinaio di
vecchietti francesi che avevano prenotato una settimana nel deserto e
che per una manciata di euro erano stati trasportati lì. Mi chiedevo
come mi sarebbe apparso quel luogo se ci fossimo arrivati in aereo.
Arrivarci in bici poteva sembrare una maniera di restituirgli una patina
di esotismo. In realtà la bici non aveva fatto che accorciare la
distanza, dal momento che ora sapevo quello che stava in mezzo fra
"casa" e "lì". L'aereo al contrario, pur banalizzando il percorso,
rendeva quel posto del tutto estraneo. In qualche modo gli orfani di
esotismo eravamo noi.
Questo libro è un leggero resoconto di viaggio, del percorso fatto, dei luoghi attraversati, degli incontri, delle difficoltà e delle gioie. Ad ogni pagina, ad ogni tappa, ad ogni chilometro percorso, la voce di Marianita Palumbo ci ricorda quello che stanno facendo: stanno viaggiando.
"A cosa stai giocando?" mi chiedeva mia madre, quando a tre anni andavo avanti e indietro tra una stanza e l'altra di casa, come tra le sponde di un fiume, trascinando due sacchi giganti pieni di ogni oggetto trasportabile trovato nella mia camera.
"Al viaggio" rispondevo ansimando mentre appoggiavo per terra i miei bagagli approfittando della sosta che la domanda di mia madre aveva imposto al mio tragitto.