Constatando l’incredibile dose di aggressività quotidiana alla quale siamo sottoposti da altri e alla quale li sottoponiamo a nostra volta, che siano familiari, amici, conoscenti, persone sconosciute, ho preso tra le mani questa raccolta di saggi delle edizioni Elèuthera. Parlerò solo del saggio che mi ha colpito maggiormente, quello che apre la raccolta, Cooperazione e libertà tra i Fore della Nuova Guinea di E. Richard Sorenson, lasciandovi scoprire gli altri. Tutti i sette saggi sono frutto di ricerche sul campo, indicativamente tra gli anni Settanta e Ottanta, di antropologi e psicologi che hanno vissuto per un certo periodo di tempo con alcune comunità, tra cui, appunto, i Fore della Nuova Guinea, i !Kung del deserto del Kalahari, gli Inuit del Canada, ed altre ancora.
L’ipotesi centrale sostenuta da tali
studiosi e convalidata dai fatti - a differenza di quelle
innato-aggressiviste che ritengono l’aggressività come universale
e innata e rappresentate tra tutti da Konrad Lorenz e Desmond Morris - è che lo sviluppo del comportamento aggressivo sia qualcosa che
apprendiamo. Essendo noi esseri umani poliformicamente educabili c’è
di che essere ottimisti, perché se si riesce a capire le condizioni
che producono il comportamento aggressivo, si può controllare il
manifestarsi e lo sviluppo di tale comportamento.
Si parte con la definizione di
aggressività, appurando che esistono tanti e tali tipi di
comportamenti definibili come aggressivi tutti, però, non abbiamo scuse, sono tutti compresi in
una categoria generale in quanto comportamento finalizzato a
infliggere dolore fisico o psicologico ad altri. Tale dolore può
limitarsi al portar via uno stecco o un giocattolo, oppure può
significare infliggere una ferita corporale più o meno grave.
L’aggressività, seppur limitata a nient’altro che un sentimento,
è probabilmente qualcosa che la maggior parte degli esseri umani ha
vissuto e manifestato.
Centrale è quindi lo stretto rapporto tra pratiche educative dell’infanzia e il successivo sviluppo della personalità.
Centrale è quindi lo stretto rapporto tra pratiche educative dell’infanzia e il successivo sviluppo della personalità.
Ma ecco, come si offrono i Fore della
Nuova Guinea, a noi così ipervestiti.
I bambini piangono raramente e giocano senza farsi male con i coltelli, con le accette, con il fuoco. I bambini più grandi di buon grado accondiscendono agli interessi e ai desideri di quelli più piccoli; la rivalità tra fratelli è praticamente inesistente. […]
È raro che essi chiedano direttamente qualche cosa o che contrattino e blandiscano per ottenere ciò di cui hanno bisogno o desiderio. Più di frequente, i membri della comunità leggono prontamente le sottili, talora sfuggenti, espressioni di interesse, desiderio o disagio manifestate da uno di loro e agiscono di conseguenza. Una spontanea tendenza a condividere cibo, affetto, lavoro, fiducia e piacere caratterizza la loro vita quotidiana. L’aggressione e il conflitto intracomunitario sono insoliti e oggetto di discussione preoccupata. Il senso della tribù, della famiglia e della «patria» è vago; non ci sono luoghi fissi residenziali od orticoli né terre tradizionali. È una vita aperta, liberamente nomade, in cui ognuno si sposta con quelli con cui sta bene. La segmentazione del gruppo, alla ricerca di nuove occasioni, è una pratica standard accettata come naturale. Sono rimasto impressionato dalla velocità con cui idee e pratiche nuove vengono assimilate da questi gruppi: modi di parlare, di contare e persino credenze basilari sono aperte a repentine modificazioni.
Naturalmente, il cambiamento delle condizioni ecologiche, l’aumento della densità della popolazione, la scarsa disponibilità di terre, lo stanziamento dell’agricoltura hanno prodotto dei cambiamenti.
Sorenson si è servito della ripresa cinematografica per campionare il comportamento quotidiano dei bambini, riuscendo così a scoprire e isolare modelli sottili e fuggevoli stati d’animo e di aggregare categorie simili di eventi, così da facilitare la ricerca di tratti comuni.
La scoperta fondamentale è stata che i bambini più piccoli restavano in contatto corporeo quasi continuo con la loro madre, i suoi familiari o le sue compagne di lavoro nell’orto. Il grembo materno è il centro della vita infantile e i piccoli se ne stanno lì a succhiare il latte, a dormire e a giocare con il loro corpo e con quello della nutrice. Ed essi non vengono messi da parte neppure durante lo svolgimento di altre attività, come la preparazione del cibo o il trasporto di oggetti anche pesanti. Restando a stretto e ininterrotto contatto fisico con quelli che stanno loro attorno, i loro bisogni basilari – riposo, nutrimento, stimolazione e sicurezza – vengono continuamente soddisfatti senza problemi. Poiché tutti i bambini fore hanno una possibilità costante di interscambio tattile, ben prima di poter parlare essi comunicano bisogni, desideri e sentimenti alle persone che si occupano di loro tramite il tatto e il movimento fisico. Questo costante «linguaggio» del contatto rende pronta e facile la soddisfazione dei bisogni e dei desideri dell’infante e rende superflui i più rigidi espedienti normativi e dietetici. Frustrazione infantile ed esplosioni di protesta, così comuni nella cultura occidentale, sono raramente individuabili. […]
Questo modello «sociosensuale» istituisce un rapporto molto intimo con le persone circostanti e pare costituire il fondamento di […] una spontanea e affettuosa spartizione di cibo, strumenti e piacere. L’economia cooperativa, le relazioni umane di tipo consensuale, l’ordine sociale egualitario emergono dalla condizione iniziale di relazione tattile.
Un altro filo essenziale corre dalla prima infanzia in avanti ed è la libertà concessa la bambino di esplicare un’attività esplorativa secondo la sua iniziativa e i suoi interessi […] questa ricerca personale s’imbatte liberamente in tutto ciò che sta attorno al bambino, comprese le asce, i coltelli, i machete e il fuoco. […] Essendo in contatto fisico continuo con persone impegnate in compiti quotidiani, i piccoli cominciano ben presto ad apprendere le forme di comportamento e di reazione caratteristiche della vita fore. […]
Il modello iniziale di attività esplorativa comprende un frequente ritorno a una delle «madri». Fungendo da base domestica, da bastione di sicurezza, una donna può talvolta fare un cenno di incoraggiamento al bambino […]. Questa «base» umana non è né esigente né restrittiva, cosicché essi non hanno alcun bisogno di scappare, di sfuggirla.
Quindi:
Poiché le basilari esigenze fisiche ed emozionali dei bambini vengono prontamente soddidfatte, essi per sentirsi sicuri non debbono elaborare astratte costruzioni mentali relative a scansioni temporali e relazioni umane, come fanno i bambini in famiglie organizzate a partire da regole, orari, modelli di comportamento. Non c'è bisogno di sviluppare e interiorizzare astratti concetti d'ordine e regolarità per accedere alle fonti di alimentazione e benessere. [...] Così, per lo meno, viene a mancare una delle fonti d'aggressività e di conflitto, e cioè l'interesse a manipolare la gente o a modificare l'ambiente in funzione di uno «schema di vita» radicato a modelli emotivi.
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