Diversi modi di raccontare la scomparsa

Nelle ultime settimane ho letto due libri sulla scomparsa.

"Svanire" di Deborah Willis e "Il dolce sollievo della scomparsa" di Sarah Braunstein. A parte la differenza nella composizione, il primo è una raccolta di racconti, il secondo è un romanzo a più voci senza un vero protagonista, quello che colpisce è il divesro modo di raccontare la scomparsa.
In "Svanire" chi scompare lo ha già fatto dall'inizio del racconto. Vanishing, il titolo originale, più che un'azione è una traccia in quello che ci si lascia alle spalle, in chi rimane o in in chi è già andato via. Come ho già scritto, è una variazione sull'impossibilità di svanire, ma non c'è mai lo sguardo o la ricerca nel prima, in quello che sta a monte allo svanire, se non come flashback o come ipotesi.
Questo permette uno stile più distaccato, perfetto, da documentarista che arriva dopo il disastro.

In "Il dolce sollievo della scomparsa" l'autrice ci accompagna nel prima, ci introduce nella mente e nel corpo di chi sta per scomparire, di chi vuole scomparire, di chi non sa ancora che sta per scomparire. Questo cambio di prospettiva è la differenza prima fra i due libri. Le differenze di stile sono quasi una conseguenza: Braunstein non può avere lo sguardo distaccato, lei e con lei noi lettori siamo dentro questo turbine, non c'è lo sguardo su quanto successo, c'è la rincorsa a quello che sta succedendo, non c'è l'analisi dei resti e delle macerie, c'è il tentativo di non farsi travolgere dall'esplosione e non cadere nel baratro.



Due giovani autrici, la prima canadese la seconda americana, due esordi narrativi, due argomenti simili trattati in modo diametralmente opposto, due libri da leggere.


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