"Uno scrittore deve entrare in punta
di piedi nel mondo del motociclismo. L'epica, qui, si scrive
sull'asfalto, la carta può ricordare qualcosa di quel grande sogno
che ha avuto nel cavallo a vapore la trasfigurazione della potenza
animale. Provare a raccontare un sogno fatto di meccanica, di
elettronica, fatto del genio dell'uomo e del coraggio dell'uomo,
della sfida dell'uomo, non è impresa da poco. Lo si può fare solo
in una sorta di adorazione, chiudendo gli occhi davanti a tutto lo
schifo di cui sono capaci gli uomini. Il circo del motociclismo, alla
fine, non è diverso dal carrozzone dei letterati”. [Cit. da pag
86]
Il rapporto che si crea con ogni
libro letto è sempre per lo piĂą “personale”e da qui nasce il
difficile di parlarne con gli altri. Posso pertanto parlare di questo
“I circuiti celesti” soprattutto in rapporto a me stesso. E lo
stesso vale per il rapporto con i propri santi, come sa bene Tonon
nello scrivere questa specie di biografia di Marco Simoncelli. Ecco
un primo punto di interesse: questo è ottimo libro per lettori
miscredenti, consigliabile perché non cerca di fare proseliti, di
convertire nessuno, mentre intende (rap)presentare, almeno un poco,
la “fede” sportiva (ma non solo) nel suo essere.
E questa “fede” non viene
noiosamente e fastidiosamente “spiegata” ma prende corpo nella
“forma” stessa di questa biografia atipica: i cortocircuiti tra
la propria storia personale e la vita del santo che collegano il
“mito” al suo “fedele”, ovvero la imprescindibilitĂ di un
punto di vista soggettivo, sono presentati nel testo alternando
capitoli di volta in volta dedicati al racconto della vita di
Simoncelli (piĂą che altro una serie di flashes sulla vita di una
persona investita della santitĂ ) e dello stesso Tonon (capitoli piĂą
propriamente autobiografici, con l'epica sportiva vissuta in prima
persona, con i ricordi di fabbrica e relativi caustici pensieri a
fare da cerniera globale).
“A tavola si sentiva solo, isolato
dalla squadra, si sentiva una nullitĂ , un somaro di ottanta chili in
sella alla moto che aveva condotto alla gloria un campione come
Valentino Rossi. Marco che cercava di parlare, di avvicinarsi, e loro
che lo schifavano. E mi torna in mente la mia adolescenza operaia,
quell'orribile apprendistato del mondo, quel marchio a fuoco che ha
fatto di me quel me che sono. Isolavano il ragazzo piĂą povero, il
ronzino piĂą denutrito. […] Quella spaventosa guerra tra morti di
fame: l'assoluta, perenne mancanza di coscienza di sé come classe
operaia. Tutti a sognare la villa del padrone, tutti a sognare il
tredici al totocalcio. Non è mai esistita una classe operaia”.
[Cit. da pag 78]
Ecco allora che il “debole”
Tonon, l'escluso, il reietto perché povero, vede in Simoncelli il
suo angelo in motocicletta, che lotta per arrivare primo partendo “da
ultimo”, mica “da davanti”, perchĂ© l'eroe ispirato (e
ispirante) non è chi parte prima, in pole, e arriva primo, ma chi
lotta in rimonta, nel “circuito terrestre” della gara
(Simoncelli) e della vita sociale e lavorativa (Tonon). Il tema del
libro non è dunque il santo, ma il rapporto tra lui ed il devoto,
questo oggi diffusissimo modo di vivere, di stare al mondo.
Il trascendente, l'eroico, il mitico
oggi cammina tra noi sulla terra, non sta in qualche mondo
iperuranio, separato dagli uomini: sembra questo un altro messaggio
di Tonon. Ed è un tema dagli ampissimi risvolti filosofici e dalle
molteplici diramazioni, per esempio questo “modo di stare al mondo”
è al centro di tanti dibattiti sulla società consumistica (una
societĂ in cui il sommo bene risiede nel mondo, nelle cose, nelle
merci). Il trascendente cammina tra noi, ecco cosa ci dice Tonon, ed
è legato alla voglia di rivalsa sociale e incarnato nella figura
eroica, tragica, epica, televisiva e santa di un ragazzo morto
ventitreenne correndo in motocicletta.
“Le stelle non si commuovono per chi
parte primo e arriva primo ma per chi parte ultimo e arriva primo. Le
stelle si commuovono anche se quell'ultimo non arriverĂ primo, se
dovrĂ cadere, perchĂ© la meraviglia di quel gesto, quella gratuitĂ
assoluta, quell'assenza di calcolo, di guadagno è il gesto
artistico”. [Cit. da pag. 89]
courtesy by Matteo Cattelan