Luce d'estate ed è subito notte di Jon Kalman Stefansson

"Una notte si mise a sognare in latino. Tu igitur nihil vidis? [...] Sognare in latino non è roba da tutti i giorni. Inglese, danese, tedesco, sì, sì, francese e anche spagnolo, è un bene conoscere qualcuna di queste lingue, il mondo si amplia dentro di te, ma il latino, quello è tutta un'altra cosa, è così tanto di più che quasi non osiamo nemmeno provare a immaginarcelo."
Inizia così il romanzo, con questo sogno in latino, un sogno così lontano dalla vita di un paese di 400 anime sperduto in Islanda, un sogno che stravolgerà la vita di chi l'ha fatto e cambierà la vita di buona parte dei suoi compaesani.
Ma il libro non è la storia di chi ha fatto questo sogno. Meglio, il libro non è SOLO la sua storia, è la storia di quasi tutti gli abitanti del paese. Stefansson forse parte dall'episodio più strano ma poi da uno passa ad un altro, da un personaggio arriviamo all'altro, con continuità, con scioltezza, ci ritroviamo personaggi che abbiamo già conosciuto, poi l'autore fa degli intermezzi, scritti in corsivo, dove fa delle considerazioni sue, e si rivolge a noi, lettori, come se invece di essere dall'altra parte di un foglio di carta fossimo lì, con lui, a passeggiare per il paese, un lungo giro turistico, per conoscere paese e paesani.

Per quale motivo una persona sana di mente deve impiegare più di dieci minuti per sapere cosa succede in un paese dell'Islanda? (questa domanda ha senso solo per chi non ha passato ore a leggersi quel che succedeva in altri posti sperduti, tipo Macondo)
Pensavo alle possibili risposte quando chiudevo il libro e gustavo quello che mi lasciava, come quando bevi un buon vino e ti fai accompagnare dal gusto che ti lascia in bocca.
C'è più di un buon motivo.
Se uno è in cerca di amici, ecco, questo è il libro giusto: sono diventato amico di molti di questi personaggi dai nome perlopiù improbabili e impronunciabili, di alcune donne mi sono anche un po' innamorato.
Siamo in Islanda, il paesaggio è quello che possiamo immaginarci, la solitudine, le lunghe giornate invernali, lo spaccio di liquori, le grandi bevute. Affascinante anche, come un po' tutte le cose diverse da noi, esotiche: ma un buon motivo per leggere questo libro è la somiglianza, la vicinanza a noi. Il paese sperduto, le poche distrazioni, il clima, la solitudine, altro non fanno che ridurre all'essenziale gli uomini e le donne, viene tolto a loro tutto quello che a noi, ben integrati nel nostro contesto consumistico, ci fa da sovrastruttura imponente e al contempo insignificante. Loro, in quel paese, nelle loro vicende, sentono e vivono chiaramente la precarietà e la debolezza della vita, di questa vita così effimera e così importante.
Terzo motivo e forse più importante: la penna di questo scrittore sa portare il lettore dove vuole, non ha cali di tono e di tensione, accompagna, consola e sferza, punge e accarezza.
Apro a caso:
Kjartan era benvoluto, somigliava alla mamma, uno spirito gioviale, e una miniera di barzellette sconce. Nessuno sapeva costruire recinzioni più belle delle sue, e allevava i migliori vitelli della zona, i contadini venivano da lontano per farseli prestare, oppure caricavano la vacca sul furgone, andavano da lui e la mettevano sotto un torello di tre anni, "su su su su" faveva Kjartan con la sua voce scura, e in cinque secondi il toro adempiva al suo dovere, il membro come una carota gigantesca. Ma lasciamo perdere la vita sessuale dei bovini, è così monotona, il toro dà uno, due, tre strattoni, lo sperma schizza, gli occhi sembrano voler uscire dalle orbite e poi è tutto finito, il toro torna a brucare l'erba, la vacca al suo posto nella stalla, è così amaramente semplice, è ben diverso per noi, grazie a Dio o per nostra sfortuna, comunque la moglie di Kjartan si chiama Asdis e hanno tre figli.



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