Sono venuto qui, uccello migratore che canta ormai con voce flebile, pronto ad accettare la sterminata desolazione della mia terra e a posarmi sul primo albero con la corteccia screpolata dalle stagioni secche. Forse esagero, ma il minimo silenzio mi turba, ogni rumore mi spaventa, mi spinge a procrastinare ogni giorno questo incontro ineluttabile. Osservo ingenuamente il paesaggio che mi circonda, senza pensare che forse anche lui mi sta fissando con gli occhi spalancati. La mia ombra mi precede come per indicarmi la strada. Devo fidarmi della tenebra o della luce? Molti sono i personaggi rimasti sepolti nell'oscurità , ma dal canto suo il sole, approfittando della mia assenza, ha riarso le fondamenta di un'infanzia che ormai si è smarrita nel groviglio dei ricordi. Una voce mi sussurra che in un tempo remoto nascerà un bambino, con denti già forti e capelli folti e crespi. Mi metto a scavare con l'accanimento di un archeologo. Il mio strumento? Un piccone corroso dal sale dei rimpianti. Un piccone con un manico retto solo dal fil di ferro della memoria. L'ostinazione mi suggerisce che, al di là dei mutamenti della città di Pointe-Noire, dalle ceneri del passato riemergerà qualcosa. Però, a forza di rivangare tra le reminiscenze, ho l'impressione che la città sia come il Catoblepa, il mostro apatico evocato da Flaubert nella Tentazione di sant'Antonio che prima o poi finisce per divorare le proprie zampe. Perciò presto i miei piedi a questo paradiso del tempo che fu. So che alla fine del percorso ritroverò i luoghi che popolavano la mia infanzia. Perché Pointe-Noire dorme sempre con un occhio solo, mentre dall'altro sgorga una lacrima inesauribile, che scorre verso la Costa selvaggia... [da pag. 156]
Le luci di Pointe-Noire,
traduzione di Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco, racconta
il breve ritorno a casa di Alain Mabanckou, lo scrittore. Nato nel
1966 proprio a Pointe-Noire, ha studiato Legge a Brazzaville, prima
di trasferirsi in Francia, dove è rimasto per più di
vent'anni prima di tornare nella città natale in occasione di
un ciclo di conferenze nel locale Istitut français.
Non era mai tornato prima. Non era tornato in occasione della morte
della madre, né per la morte del padre (non quello naturale,
fuggito dal villaggio della madre prima che lui nascesse). Alain
rimarrà a Pointe-Noire solo per due settimane, ma in questi
pochi giorni incontrerà frotte di parenti con cui avrÃ
dialoghi e confronti (c'è chi gli chiederà solo del
denaro, chi lo rimprovererà , chi chiederà il suo
perdono) e ripercorrerà le strade ed i luoghi della sua
infanzia. Tante cose sono mutate: nei terreni della famiglia sono
sorte nuove case, l'amato cinema è diventato una sala
affittata alla Chiesa pentecostale, il liceo ha cambiato nome e
pianta.
Questo
diario romanzato è strutturato in episodi ognuno incentrato su
un racconto, un oggetto, una persona, un'annotazione, un ricordo, o
tutte queste cose “fuse” insieme, in un magma temporale di nomi e
memorie da ordinare con ostinazione, costanza e passione. Grande
protagonista del libro non è la “storia” del
protagonista/scrittore, ma il tempo “vissuto”, cioè come
il tempo lo viviamo concretamente, con le scomparse e mutamenti che
comporta: un fluire confuso che si impasta in una identità (la
nostra) sulla quale poi bisogna fare un grande lavoro di riordino, di
tutela. Dal magma della vita Alain estrae ricordi e fotografie (non
per farne santini fossilizzati, ma per ridare loro nuova vita, per
salvare quei ricordi, quegli antichi racconti) che si integrano a
documentare lo scavo e la ricerca dello scrittore alla riscoperta di
sé e dei suoi luoghi, della sua famiglia, della sua identità .
Riemergono così i racconti animisti “vissuti”, creduti
(non è folklore, non è pittoresco, non c'è alcun
occhio turistico qui), la storia del paese e della città .
C'è
qualcosa di generale in questo libro che esula dalla ricerca
particolare di Alain. In questo viaggio, in questo scavo appassionato
e faticoso, c'è il senso del romanzo: un cercare di andare
contro ad un modo “turistico” di stare al mondo, una lotta contro
un modo di esistere, di vivere il tempo che porta ad essere
“stranieri in casa propria” (sradicati da se stessi, dalle
proprie radici), che si può ricollegare al colonialismo ed
alla migrazione, allo sradicamento come percorso obbligato. Anche in
Italia “andare via” è qualcosa di necessario, a detta di
molti.
Courtesy by Matteo Cattelan