L'estate del cane bambino di Mario Pistacchio e Laura Toffanello


Era l'estate del 1961
.
Avete presente quelle estati lunghe che non finivano mai? Quando non c'era siesta, impegno o cena che contava, perché la sola cosa importante era stare con loro? Con quel manipolo di piccoli giganti che erano i nostri amici, forse il vero grande amore della nostra vita. L'amicizia non è diversa dall'amore quando la separazione inchioda il tempo e le possibilità.
A Brondolo, vicino a noi, a Venezia, dalle parti di Chioggia, è arrivata l'estate; tra i quattordici e gli undici anni, conosciamo Menego, Michele, Ercole, Stalino e quello che fanno tutti insieme, ce li racconta, da grande, un altro membro del gruppo, Vittorio Boscolo, capitano dei carabinieri di stanza a Torino. Lo troviamo ormai vicino alla pensione e in partenza per la Verità, rimasta per tutti questi anni nascosta al paese.

I ragazzi quell'estate hanno i loro progetti, s'incontrano, trovano una base, giocano a calcio, pianificano notti brave da veri uomini a Chioggia, passano da nonno Cestilio, il custode delle leggende. Hanno da mediare con i genitori, li aiutano al lavoro e patteggiano sul tempo, quello che non è mai abbastanza, quando si sta con chi si ama.

Leggendo “L'estate del cane bambino” mi sono venute in mente tante cose, due tra tutte. Innanzitutto l'atmosfera della storia; quella la fissa benissimo una canzone, dello stesso anno, “Stand by me”. Anche a Brondolo le notti sono tanto scure, qualcosa, qualcuno s'aggira tra l'acqua e la terra, però il buio s'attraversa di corsa, perché in fondo ci sono sempre loro. Così non può succedere nulla, Just as long as you stand, stand by me. Ma qualcosa accade, e Narciso scompare. Narciso è il fratello di Ercole. Ercole è il più figo del gruppo.

Stalino era fatto così, esagerava sempre. Bassino e con un paio di sopracciglia così folte che per poco non si toccavano, era un contabile matricolato. Michele era il bello, con il ciuffo pettinato da un lato e gli occhi blu. Ercole aveva i capelli rossi, una galassia di lentiggini sulle guance e un insulto pronto sulle labbra, e che si trattasse di qualche film, di come erano fatte le ragazze o dell'ultimo «Tex», la sapeva più lunga di noi.
Menego, invece, era una specie di Primo Carnera in miniatura, ma così ingenuo da sembrare uno delle elementari, cosa tragica, perché sotto il naso già gli si intravvedeva un bel paio di baffi. Quanto a me, non ero niente si speciale.
Poi c'era Narciso, il fratello piccolo di Ercole, un mocciosetto pelle e ossa con un buco al posto degli incisivi, una terza elementare che ci stava sempre in mezzo ai piedi dandoci il tormento, e che noi cercavamo di scaricare in tutti i modi.


La seconda cosa è che, all'età di otto anni, mi era venuta una paura incredibile. A Mantova, quando le persone, soprattutto i bambini, sono belli, si dice loro, sei così bello che ti mangerei. A otto anni, e per un paio di altri almeno, ho cominciato effettivamente a credere che mia madre mi avrebbe mangiata. Questo per dire che c'è un altro mondo che prende il sopravvento, forse per dissimulare quello in cui gli adulti ci chiudono. Accade qualcosa di forte che i ragazzi non sanno spiegare, vengono separati, se si voltano non si trovano più l'uno di fianco all'altro e qualcosa, qualcuno esce dal buio. L'inevitabile è intollerabile più dell'incredibile. È allora che le leggende s'avverano e Narciso si trasforma in cane.

“L'estate del cane bambino” è il primo romanzo di Mario Pistacchio e Laura Toffanello.

66THA2ND editore
copertina di Gianluigi Toccafondo
progetto grafico di Silvana Amato
pagine 218, euro 16,00

courtesy by Sabina Rizzardi

INSTAGRAM FEED

@libreria.marcopolo