C’è
un filo rosso da seguire in questo romanzo: è quello che ricerca
spasmodicamente Giovanni Bernini, protagonista dalle mille facce
dell’esordio letterario di Jacob Rubin. Uno filo rosso che sbuca
appena, che tradisce la persona dietro la maschera, che lascia
intravedere l’identità più profonda al di là della posa.
Seguendo il filo Bernini scuce uno ad uno i personaggi e le comparse
che gli si presentano davanti, scivolando tra vita e palcoscenico, o
meglio, fondendoli in un’unica sempre più totalizzante recita.
Fin da ragazzo Bernini si relaziona attraverso l’imitazione, trasformando un impulso inconsulto in un vero e proprio talento: la mimesi delle identità che opera progressivamente diviene lo strumento con cui egli tenta di comprendere gli altri e, al contempo, lente deformante della creazione della sua propria individualità.
“Oh, no, e la povera mamma aveva dovuto spiegare – come aveva spiegato allo zio Arthur e a Susan Sanders, come aveva spiegato a tantissime persone – che Giovanni, suo figlio, era empatico fino al midollo. Mi aveva scritto addirittura un biglietto, da tenere in tasca e mostrare alle persone nel caso che le cose si fossero messe male.”
È questo eccesso di empatia a fare di Giovanni Bernini un imitatore professionista, a renderlo celebre, ma sconosciuto agli altri e a se stesso. Intorno a lui si aggirano come satelliti la madre, il talent scout, la soubrette, nonché musa, Lucy Starlight; tutti abbagliati trasversalmente dalle luci della ribalta. E tali luci, portandolo sempre più in alto, finiscono per bruciarne la vanità e accompagnarne il declino. Calato il sipario, resta il silenzio e la possibilità di seguire il proprio filo rosso, quello che permette di guardarsi dentro e di ripercorrere il cammino a ritroso, fino alla riscoperta della parte più autentica di sé.
“Dentro di me cominciò a farsi largo un’invidia bruciante. Acuta come la sete. Invidiavo il pollice della mano del custode che toglieva le briciole da un tavolo, le guance macchiate di un paziente. Andavo in giro con le lacrime agli occhi.”
Black Coffee di Clichy si riconferma attenta e decisamente lucida nel proporre esordi letterari che hanno il privilegio di regalarci letture ad alta proprietà corroborante; Jacob Rubin quello di aver scritto un romanzo denso, da cui emerge, in mezzo al brusio, la sua voce in tutta la sua limpidezza.
courtesy by Martina Mantovan
Il ladro di voci
di Jacob Rubin
traduzione di Leonardo Taiuti
design di Raffaele Anello
Edizioni Clichy
€ 15
Edizioni Clichy
€ 15