"Il 12
gennaio 2010 alle 16.53, un terremoto di magnitudo 7,0 della scala
Richter colpisce Haiti. Epicentro è la città di Leogane, a circa
trenta chilometri della capitale. 230000 il numero delle vittime
accertate, ma è probabile che ve ne siano state molte di più, non
censite in un paese dove tanti bambini non sono nemmeno registrati
alla nascita. Tre milioni di persone sono coinvolte nel terremoto:
moltissimi gli sfollati, i feriti, gli orfani."
Questo libro non è il racconto del terremoto e nemmeno quello della ricostruzione. Qui l'autrice ci racconta alcuni "pezzi" di Haiti: ci fa conoscere il suo primo impatto con il campo di Leogane, alcune storie di bambini, dei flash sulla costruzione della casa di ospitalità per gli orfani, l'incontro con una sacerdotessa del voudou, il rapporto impossibile con altre ONG. Un racconto individuale e parziale, come è giusto che sia il resoconto di una persona che riporta la propria esperienza: Alessia Maso ha vissuto buona parte degli ultimi tre anni ad Haiti, arrivata lì per portare il sollievo del reiki ai terremotati e poi rimasta a seguire un progetto nato sul posto per dare una casa a bambini orfani o abbandonati dalle famiglie.
I pezzi di Haiti che qui leggiamo sono storie che l'autrice ha vissuto ad Haiti o grazie ad Haiti: è la storia di Lise, l'orfana che vive con un'altra famiglia come restavek, una specie di domestica, pratica diffusa e tollerata ad Haiti anche prima del terremoto. Ma è anche la storia del trauma che l'autrice ha avuto da bambina e che emerge e finalmente trova soluzione grazie al suo impegno nella raccolta fondi a favore di Haiti.
Questo doppio livello del libro, il racconto di quello che l'autrice vede ad Haiti e quello che succede all'autrice in Italia, è la cosa che meno ti aspetteresti in un libro che parla del terremoto ad Haiti ma leggendo il libro ti rendi conto che solo in questo modo è stato sincero il racconto: Alessia Maso non è partita per Haiti come membro di una ONG con un progetto già scritto e dei tempi e un budget da rispettare, è partita con la volontà di aiutare e la capacità di vedere di cosa ci fosse veramente bisogno. Quello che lei e l'associazione FaedHaiti hanno realizzato è stato un progetto in divenire: "Facciamo
del nostro meglio dunque, ognuno dov'è e come può, per non essere
travolti dal tempo e dalla fretta, bensì per muoverci nel tempo in
modo comodo, senza perdere la capacità di guardarci intorno.
Propongo tutto questo a me, prima ancora che a voi."
Condizione necessaria per questo è essere disponibili al cambiamento, dei tempi e dei modi del progetto ma anche di chi questo progetto lo porta avanti: l'autrice, per esempio, dovrà imparare a fare i conti con il suo passato e imparare a parlare in pubblico per la raccolta fondi a favore del progetto.
Ci sono alcune descrizioni di episodi ad Haiti che vale la pena di leggere per la loro esemplarità. Durante la costruzione della casa di ospitalità per bambini, l'autrice si ritrova da sola a difendere l'attrezzatura del cantiere in mezzo ad una folla di haitiani che protestano contro gli stranieri delle ONG che invece di essere d'aiuto sfruttano il paese:
"Resto
sola, unica bianca con un sacco di strumenti di lavoro a fianco a me
in mezzo alla folla che urla contro gli stranieri che hanno invaso il
paese. Dentro di me penso che hanno perfettamente ragione. Mi sento
dalla loro parte. Dall'altro lato è chiaro che loro non mi
considerano dalla loro parte. [...] Dopo qualche minuto che sembra
un'eternità, continuando a parlare con la gente perchè mi sembra
più sicuro, arriva l'enorme jeep della polizia. Mi dicono che non
possono caricare gli strumenti. Rispondo che senza gli attrezzi non
mi muovo, ne va di tutto il progetto, non ho modo di ricomprarli. Mi
guardano come se fossi pazza. Resto immobile. Vedo un uomo che si
avvicina e prende la sega fra le mani. Lo guardo dicendogli di
metterla giù e non toccare nulla. Lui neanche mi guarda, alza
l'attrezzo e lo deposita nel cassone della jeep. I poliziotti fingono
di non vedere e aspettano. L'uomo continua a caricare. Lo aiuto. E
salgo anche io nella parte posteriore della jeep."
Qui come in un altro episodio la forza della Maso sta nella sua immobilità, nel non cedere: lo stare fermo come coraggio, coraggio dato dal non avere scelta. E poi la bellissima scena dell'uomo che si avvicina e in silenzio carica gli attrezzi sulla jeep della polizia che finge di non vedere: da sola questa scena rende la distanza di "culture".
Per finire cito una frase riportata nel libro, di un amico haitiano dell'autrice:
che il
mondo possa cambiare,
che noi
manteniamo la forza di credere,
che
nessun momento della vita sia sprecato.
Continuiamo...
Questo libro è stato scritto e pubblicato per sostenere il
programma FaedHaiti.
L'editore :duepuntiedizioni e Libreria Marco Polo destinano l'intero ricavato della vendita di questo libro alla
realizzazione delle azioni del
progetto, che potranno essere
seguite sul sito www.faedhaiti.org