Alberi erranti e naufraghi di Alberto Capitta

Un libro commovente questo di Capitta come commoventi e toccanti sono alcuni dei suoi personaggi. Piero Arca su tutti. Lui raccoglie gli animali abbandonati, feriti e li cura, li accoglie. La sua non è bontà, è la sua vita. Lui ha trovato la sua strada, è vivo solo in questo modo.
La gente non lo capisce, la moglie, pur innamorata,  lo abbandona. Gli altri lo scherniscono ma lui non si fa problemi, continua a vivere questa simbiosi, questa vita insieme agli animali. Suo figlio adolescente lo capisce ma ne è intimorito: è difficile avere un padre "santo", uno che emette una strana luce.
Non è Piero il personaggio principale di questo libro, è solo il primo e, potremmo dire, l'origine di tutte le vicende successive. Qui si raccontano le storie di tre famiglie, gli Arca, i Nonne e i Branca, dei loro intrecci, di odio e di amore, sullo sfondo di questa Sardegna mai nominata ma inconfondibile.
Non vi racconto altro di questa storia, nemmeno il perchè in copertina ci sia uno che porta una sedia sulla schiena.
Quello che voglio dire qui è che questo libro merita per la scrittura, per lo "stile" di Capitta, una scrittura finalmente non visuale e non cinematografica, finalmente non basata sui dialoghi, finalmente senza introspezioni estenuanti.
Una scrittura che usa cose, oggetti, parole normali, per creare una prosa poetica, una prosa che ti lascia la voglia di rileggerla.
Ecco degli esempi.
In questo libro ci sono donne che si innamorano e che capiscono che il loro amore è morto. Ci sono donne che restano e donne che fuggono, anche in modo definitivo, dalla vita.
Ecco una di queste donne, meravigliose, Lidia:
"I primi anni nella tenuta erano trascorsi nella luce accecante di giornate cosparse di felicità. Lidia quella felicità la coglieva a occhio nudo, sulle sedie, sul pavimento, come una polverina si insinuava dappertutto. Lidia Olmeo non era più un'adolescente, consapevole dell'inganno che poteva nascondersi dietro una tale visione cercava di cancellarne le tracce dai mobili, ma per quanto si adoperasse la polvere ricadeva e una mattina guardandosi intono nella sala grande aveva visto che ne era completamrnte invasa. Così si era arresa e senza vergogna e senza più resistenza vi aveva affondato il viso dentro risollevandosi tutta imbrattata."
Come meravigliosa e piena di vita sarà sua figlia, Maddalena
Quest'altra donna, Teresa, non è fuggita fisicamente, quando ha incontrato il disamore si è ritratta:
"Cercò di resistere all'orrore. Cercò di resistergli camminando sull'orlo dell'abisso del disamore , fiutando sentierini che la conducessero lontana da lì dove ancora poteva sentire il profumo di certe aiuole in cui aveva coltivato l'affetto. Ma ovunque lei posasse lo sguardo i fiori si seccavano e marcivano e nel giro di poche settimane il disincanto l'attirò con lo stesso fascino del vuoto che attira i sucidi. Per non pensarci si allontanava coi bambini in lunghe passeggiate nella pineta, tentando di convincersi che nulla era cambiato, che sarebbe ritornata a casa e lui l'avrebbe salutata  con quel buongiorno da marito devoto  e a lei si sarebero accesi gli occhi perchè era quello che aveva sempre desiderato, e tutto il resto era solo un cattivo pensiero e non doveva badarci più. Ma ad ogni albero sbucava fuori il volto del disamore. La donna copriva gli occhi dei suoi bambini perchè non vedessero. Teresa ripensò alle intimità, fece l'inventario dei momenti lieti, delle carezze, delle tenerezze.Ce la mise tutta pur di evitare il baratro. Quando più nulla poté volò giù, si lasciò andare  e nel volo perse di tutto. Dal viso si staccarono baci ed effusioni come squame, perse sguardi e appuntamenti, ansie, rossori. Quella volta rientrò a casa distrutta, si mise a letto occupando l'estremo bordo della sua parte. Questa è la posizione che ancora mantiene e manterrà per tutti gli anni che durerà il suo matrimonio, gli stessi che le restano da vivere."


Qui invece ci sono due giovani maschi, divisi dalle famiglie ma uniti dalle passioni, che dopo una serata di girovagare vanno a rifugiarsi in un pozzo:
"Il pozzo li ascolta, sa di anfore e porta nel grembo margheritine annegate. I visi dei due ragazzi vanno rischiarandosi, guardano verso l'alto, ora, col naso all'insù. Parlano. Quando è Giuliano a parlare la sua voce si espande verso l'alto, se è scura e densa invece è la voce di Emilio e cade dentro l'acqua mescolandosi alle alghe; voce dolente, non ha nulla da temere qui. Restano a discorrere e a scherzare , sgranocchiano pistacchi, cantano e poi si addormentano su quelle rive accompagnati dal suono di qualche tuffo di rospo. Si addormentano senza più un ba, felici ed esausti, accanto all'acqua tonda."






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